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Fernweh – Baratto Teatrale 2021 – Ferai Teatro

Fernweh, desiderio dell’altrove è il progetto di Baratto Teatrale 2021 ideato e diretto da Ga’ per Ferai Teatro. Fernweh è una di quelle parole tedesche che non si possono tradurre come unica parola in lingua italiana, riassume la nostalgia di luoghi lontani e comprende il desiderio impellente di arrivarci fisicamente e mentalmente abbandonando le circostanze conosciute.

Quando e dove: Fernweh, desiderio dell’altrove è un’esperienza artistica che inizierà lunedì 12 luglio e terminerà a fine agosto 2021 e che si svolgerà in collaborazione con Domus de Luna presso il Teatro Dante, via Generale Cantore e successivamente in tutto il quartiere di Santa Teresa a Pirri.

A chi è rivolto: possono partecipare tutte le persone autonome e autosufficienti di tutte le età ed esperienze.

Prima fase: GATE (dal 12 al 30 luglio).

Gate” è un workshop artistico e chi chiede di partecipare verrà smistatə in uno dei seguenti quattro gruppi, ogni gruppo richiede una frequenza bisettimanale, ciò che cambia è la fascia oraria, pomeridiana o serale, secondo questo schema:

giorni: 12, 15, 19, 22, 26, 29 luglio:

  • GRUPPO 1 – SAMBHALA dalle 17:00 alle 18:45
  • GRUPPO 2 – IPERBOREA orari: dalle 19:00 alle 20:45

giorni: 13, 16, 20, 23, 27, 30 luglio:

  • GRUPPO 3 – AVALON dalle 17:00 alle 18:45
  • GRUPPO 4 – EL DORADO dalle 19:00 alle 20:45

Seconda fase: FLIGHT (agosto)

Flight” è la parte dedicata alla costruzione dello spettacolo “Fernweh” e si avrà accesso se si vorrà e se si potrà partecipare. Le date delle prove verranno concordate in seguito e a fine Agosto si andrà in scena.

Come si partecipa: la partecipazione all’intero progetto Fernweh, desiderio dell’altrove è interamente libera e gratuita a tutti i livelli: il Baratto Teatrale è uno scambio di esperienze ed emozioni.

Bisogna scrivere entro giovedì 8 luglio 2021 a [email protected] o via WhatsApp/Telegram/SMS al 3755789748 indicando:

  1. Dati anagrafici e contatti;

  2. Eventuali problemi fisici/motori che dobbiamo conoscere;

  3. A quale tra i gruppi Sambhala, Iperborea, Avalon e El Dorado puoi aderire (indicare almeno due gruppi);

  4. Perché vuoi partecipare al Baratto Teatrale 2021.

Attenzione:

È richiesta una tenuta sportiva fresca e pulita.

È obbligatoria la massima cura dell’igiene personale e il totale rispetto delle norme anti-Covid vigenti nel momento in cui si lavorerà al progetto.

Il percorso artistico:

Viaggiamo da sempre, forse non ci siamo mai fermati. Siamo forti perché accettiamo di essere fragili. Forza prima della debolezza. Il nostro non è il percorso di chi cade, ma di chi si rialza, è un viaggio, conta solo il percorso. Viaggio, prima della destinazione.

Abbiamo strappato le pagine dal libro delle danze per scriverne di nuove, ci abbiamo colorato sopra come bambini e ancora, vogliamo continuare a giocare fuori dai bordi e dai limiti.

Le domande dell’interprete sono le stesse dello spettatore.

Qual è il paese giusto per rinascere? La tua meta preferita più lontana nel tempo storico e nello spazio geografico? Qual è il tuo altrove, il tuo essere altro da ciò che sei? Come si comportano i figli della Terra, che caratteristiche hanno? Qual è il nome della tua Prigione? Come è fatto il terreno migliore su cui camminare e che forma ha la terra inesplorata dentro di noi?

Un gioco di elementi e visioni fuori norma: Fernweh, desiderio dell’altrove è aperto alle persone, ossia interpreti, passanti, professionisti, non professionisti. Pubblico e interpreti dovrebbero arrivare a essere la stessa cosa nello stesso momento o in momenti intercambiabili.

Fernweh, desiderio dell’altrove è uno spettacolo sulla norma non conforme, ha bisogno di energie e persone non uniformate ai cliché dell’attore o dell’artista, ha bisogno di un desiderio di collettività e comunità antico, antecedente al desiderio sociale, nutrito dalla forzata distanza sociale, insito nel rito primordiale e nell’infantile capacità di immaginare scenari lontani, molto, molto lontani.

Ga’: Ga’ compare nel mondo a partire dal 1986, si interessa al teatro grazie ai laboratori del suo liceo, non finirà mai di frequentarne anche esternamente, fino a debuttare come attore professionista e poi fondare Ferai Teatro nel 2007. Performer, scrittore, regista e insegnante di teatro. Ricerca un’arte scomoda, lontana dalle poltroncine di velluto, dallo stucco barocco, dal teatro della comodità. L’arte deve mettere alla prova e non deve dire tutto quello che sai, ma rappresentare tutto quello che sei.

Ferai Teatro: La compagnia nasce nel 2007 dall’incontro tra Andrea Ibba Monni e Ga’. L’unione delle loro esperienze dà vita al Baratto Teatrale, una serie di rappresentazioni teatrali gratuite che si svolgono in luoghi non convenzionali (strade, chiese, piazze, monumenti) e che prevedono uno scambio culturale tra la Compagnia e l’ambiente che le ospita. La compagnia ha una scuola di recitazione per tutte le fasce d’età che si chiama “Il mestiere dell’attore” e dal 2014 lavora per la ONLUS Codice Segreto con la quale crea le classi di laboratorio integrato per le diverse abilità. Negli anni collabora con alcune compagnie teatrali sarde e mette in scena spettacoli come “I monologhi della Vagina”, “Cuore di Tenebra”, “Io sono Bestemmia” ed “Eros Nero”.

Per maggiori approfondimenti sul Baratto Teatrale di Ferai CLICCA QUI

La paura è un peccato – Ferai Pride 2020

Ferai Teatro presenta “La Paura è un peccato” scritto, prodotto e diretto da Ga&Andrea Ibba Monni per Queeresima e Sardegna Pride 2020

Tra venerdì 26 e domenica 28 giugno verranno messi on line qui otto video:

“Tutti i colori dell’arcobaleno”;

“Un milione di ragioni”;

“Ci vediamo al Pride” (diviso in tre parti);

“Quando la notte è più lunga di qualsiasi giorno”;

“È il rumore di una forcina caduta per terra”;

“Marcire o marciare”.

Un excursus narrativo sulle ragioni del Pride, sulle origini e i perché, sulle storie di cronaca dall’Omocausto ai giorni nostri. Ma ci sarà spazio anche per i sorrisi e le risate grazie alla satira e alla comicità.

Un progetto no-budget nato dalla voglia di dare un piccolo ma onesto contributo anche quest’anno, in un periodo in cui i teatri erano chiusi per il lockdown ma la voglia di esprimersi era comunque tanta.

“Tutti i colori dell’arcobaleno” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attore: Andrea Ibba Monni; montaggio di Andrea Oro.

“Un milione di ragioni” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attore: Andrea Ibba Monni, cantante: Manuela Angius; canzone: “Million reasons” (di Lady Gaga, Hilary Lindsey e Mark Ronson); montaggio di Ga’.

“Ci vediamo al Pride!” (diviso in tre parti) Autori e attori: Andrea Ibba Monni e Silvia Saba; montaggio di Ga’.

“Quando la notte è più lunga di qualsiasi giorno” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attori: Andrea Ibba Monni e Giorgia Barracu; montaggio di Ga’.

“È il rumore di una forcina caduta per terra” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attore: Andrea Ibba Monni; montaggio di Andrea Oro.

“Marcire o marciare” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attori: Francesca Cabiddu, Ilaria Traverso, Andrea Oro e Andrea Ibba Monni; cantante e musicista: Andrea Spiga; canzone: “Can’t help falling in love” (di George Weiss, Hugo Peretti e Luigi Creatore); montaggio di Andrea Oro.

Ringraziamo: Giulia Maoddi, Marco Carrus, Consuelo Perra, Alessandro Murtas, Andrea Mura, Roberta Plaisant, Claudia Congiu, Roberta Mossa, Ilenia Cugis, Davide Sitzia, Gianmarco Loi e tutt* coloro che ogni giorno vivono per rendere il mondo un posto migliore.

Per un futuro possibile (di Ga’ e Andrea Ibba Monni)

I teatri riaprono il 15 giugno!

Ma per fare cosa? Beh gli spettacoli che dovevano andare in scena in primavera e quelli nuovi che non vediamo l’ora di proporre al pubblico!

Ma chi ci andrà? Certo è che dopo due mesi e mezzo di lockdown forse la gente non muore dalla voglia di fare la fila (a un metro di distanza gli uni dagli altri!) per farsi misurare la febbre e per sedersi a vedere qualcosa (a un metro di distanza gli uni dagli altri!) con la mascherina addosso per tutto il tempo.

Che provvedimenti doveva prendere il Governo? Noi siamo teatranti, non uomini e donne di governo e per quanto la nostra arte sia politica non siamo in grado di dare suggerimenti in merito a una situazione inedita per tutti.

È difficile governare, ancor più difficile governare l’Italia, pressoché impossibile governare il Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo in Italia. Figuriamoci in piena emergenza sanitaria!

L’attenzione da parte del Governo (qualunque Governo, da quello statale a quello cittadino passando per Regione e Provincia, passati e presenti) non è mai stata delle migliori. Il teatro è un settore che non smuove grandi numeri a livello di elettorato, quindi non è certamente una priorità politica: eppure basterebbe conoscerlo un minimo per capire che come radicalizza l’anima il palcoscenico non lo fa nessuno.

L’arte ha un potere politico enorme ma la classe dirigente è totalmente impreparata in materia.

Il nostro obbiettivo è sempre stato il pubblico: vogliamo che la gente capisca, tocchi con mano una realtà diversa da quella che immagina, vogliamo abbattere il pregiudizio di cui soffre il nostro settore; ma finché ci si comporta da buffoni a corte si avrà quel tipo di considerazione.

ll teatro post-Covid sarà ancora più bello di prima perché se c’è una cosa che l’arte sa fare è reagire con vigore a una crisi: purtroppo o per fortuna resisteremo in pochi e questo non so se sia un bene o un male.

Stiamo valutando il da farsi, per ora consapevoli che è impossibile proporre uno spettacolo il 15 giugno perché dal 7 marzo siamo chiusi in casa impossibilitati a lavorare. Pare che dal 15 giugno si debbano tenere le distanze anche sul palco, misurare la temperatura a tutti, pubblico compreso. Per quali storie vale la pena fare questo rito sacrificale? Lavoriamo a livello creativo, cerchiamo di non farci cogliere impreparati: per troppo tempo abbiamo pensato al come, adesso è ora di pensare al perché. Vogliamo (da sempre) opportunità vere: non necessariamente soldi da investire ma anche solo spazi da utilizzare e soprattutto dignità lavorativa, rispetto.

Ga’ e Andrea Ibba Monni

La mia Ferai – prima parte (di Andrea Ibba Monni)

Per sostenere la raccolta fondi a favore di Ferai Teatro in piena emergenza Covid ho registrato frettolosamente un video di tre minuti (questo qui) in cui ho cercato di contenere le mie emozioni dal momento che non sono riuscito a contenere capelli e occhiaie. Per cui eccomi qui: pettinatissimo e con un incarnato perfetto (auch! peccato non possiate vedermi eh!) ma col cuore libero da ogni ritegno. Signore e signori questa è la versione del tutto personale e inevitabilmente sentimentale di come e quando è nata Ferai Teatro nel 2007, scritta di getto, spontaneamente e come se non l’avessi già raccontata mille volte: ma questa è stata la mia prima (e fino ad oggi unica) svolta epocale di vita. Se non fosse successo tutto quel che sto per raccontarvi forse ora sarei un mediocre giornalista televisivo alla disperata ricerca del modo di partecipare a un reality qualunque.

Nel novembre del 2005 il grande Pierfranco Zappareddu mi taglia fuori dalla produzione “Nei sensi la vita” e ci resto così male che non lo sento per i sei mesi successivi finché leggo sul giornale che il suo nuovo spettacolo era stato “rimandato”. Lo chiamo, gli lascio un messaggio in segreteria in cui gli dico “se serve son qui” sentendomi Bruce Wayne che scruta il cielo di Gotham City. Una settimana dopo sono sul palco del Teatro delle Saline Akroama protagonista di “Che tu sia per me il coltello”.

Tra il pubblico un’ex attrice di Zappareddu: lei evidentemente più permalosa di me dato che non lo sentiva da vent’anni e proprio quella volta era tornata da lui. Questa ex attrice ora aveva velleità registiche e una produzione in ballo col Teatro Alkestis (tenete bene in mente questo nome) e voleva che io partecipassi al progetto. Così è stato: va in scena “Voci nel buio” nella cui produzione c’era un ragazzo di vent’anni, Ga’.

Da lì a poco ci ritroviamo a chiacchierare a lungo, decidiamo di vederci il giorno dopo e di andare in spiaggia a finire la conversazione: era l’8 luglio 2007 e per otto ore non facciamo altro che parlare stesi sulla sabbia l’uno accanto all’altro. Il giorno dopo la mia guancia destra e la sua sinistra presentano ustioni importanti, letteralmente: eravamo deturpati ma innamorati.

Ferai nasce praticamente subito: lui sta scrivendo una tesi per il DAMS di Bologna sul Baratto Teatrale dell’Odin Teatret, io lo porto da Zappareddu che si è formato in Danimarca con Eugenio Barba e che ha portato il Baratto in Sardegna. Ovviamente Pierfranco non se lo lascia scappare e insieme facciamo “Ingannevole è il cuore più di ogni cosa” ma questa è un’altra storia meravigliosa.

Stanchi di fare spettacoli d’altri? Forse. Più che altro con una gran voglia di fare cose nostre gli offro di partecipare come insegnante al mio laboratorio presso l’oratorio della Chiesa di Santa Lucia (ne parlerò in seguito) e scopro la generosità e la passione di un’anima più che bella. Va be’ avete capito che per me lui è tutto.

Abbiamo conosciuto la fame, la nostra spesa settimanale non superava mai i 10 euro (grazie ai migliori discount a disposizione), ci facevamo invitare spesso alla tavola di sua sorella Consuelo con una scusa o con l’altra per mangiare qualcosa di buono, lui faceva volantinaggio e ripetizioni di inglese, io facevo ripetizioni di qualunque materia (e diamine se li facevo sgobbare quegli asinelli!) ma soprattutto insieme facevamo teatro: “Sangue d’angelo” ed “Air can hurt you” i nostri primi lavori insieme.

Di seguito il dialogo accaduto per la scelta del nome della neonata compagnia:

IO – Come ci chiamiamo? Ci serve un nome!

GA’ – I nomi devono portare fortuna, dice Pierfranco…

IO – Il nome del primo spettacolo dell’Odin?

GA’ – Uhm, troppo cacofonico “Ornitofilene”

IO – Il secondo? Oddio che difficile “Min fars hus”

GA’ – Ma il terzo si chiama “Ferai

Eccoci, siamo nati. E ora volevamo fare la storia: la nostra personale, vera, lunga, tortuosa e perché no, magari quella dei libri di storia. Stiamo puntando alto? E allora miriamo alle stelle e ai pianeti se il cielo non basterà.

La storia continuerà.

Andrea Ibba Monni

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Sostieni Ferai – cos’è successo

Siamo Ferai Teatro, una compagnia teatrale attiva a Cagliari e in Sardegna dal 2007 e ci troviamo a dover affrontare un momento molto difficile a causa della pandemia che ha colpito tutto il mondo. 

Ci siamo sempre autofinanziati grazie ai progetti che abbiamo portato avanti in questi anni, non abbiamo mai percepito i contributi che la Pubblica Amministrazione dà al mondo della Cultura perché abbiamo sempre potuto contare sulle risorse guadagnate dal nostro stesso lavoro: un lavoro che ora, nostro malgrado, è fermo.

In questo periodo in tanti avete chiesto come poterci aiutare e per questo abbiamo deciso di creare una campagna di raccolta fondi, al fine di affrontare le spese del nostro spazio, la Silvery Fox Factory in via Dolcetta 12 a Cagliari: grazie al vostro aiuto potremo coprire le spese di affitto e utenze e appena possibile potremo riprendere le nostre attività e iniziare ad avviare tutti i progetti futuri (tutte cose di cui vi parleremo man mano nelle prossime settimane).

Lo staff della compagnia ha deciso di contraccambiare ogni donazione con un regalo scegliendo ed inviando di volta in volta ai nostri donatori qualcosa di noi: un copione oppure un video dei nostri spettacoli storici, o una foto di scena, regaleremo un servizio fotografico (da realizzare quando sarà possibile incontrarsi), oppure vari audio racconti, ritratti, disegni, dipinti oppure performance in live streaming con chi fa la donazione. 

Estremi per la donazione:

INTESTATARIO: Ferai Teatro;

IBAN: IT-86-W-03268-04800-052540475180;

CAUSALE: donazione da (nome e cognome)*

*Se volete avere il nostro regalo di ringraziamento dateci modo di rintracciarvi! Le donazioni non avranno tag social (se non esplicitamente richiesto) al fine di tutelare la privacy di chi dona.A

E tu come memorizzi un copione?

Risultato immagini per memory

Di seguito alcuni metodi di memorizzazione di un copione da parte di qualche allievo del laboratorio di recitazione di Ferai Teatro. Li abbiamo riassunti, alcuni uniti perché tanto simili e con pochissime (ma importanti differenze). Va detto che ognuno ha il proprio personale modo di memorizzare una parte (o dovrebbe averlo) e che quindi vi riportiamo i vari modi, ognuno valido nella misura in cui va ovviamente bene per chi lo utilizza, cercando di evidenziarne sia i vantaggi ma anche gli eventuali punti deboli.

Dopo aver sottolineato, leggo e ripeto frase per frase, man mano che vado avanti con le frasi ripeto sempre dall’inizio aggiungendo la frase nuova. Se necessario sbircio dal foglio e ripeto finché non è più necessario il foglio, cercando nel tutto di concentrarmi sul senso di quello che dico. Questo è un metodo che ha come svantaggio il fatto che le battute finali son quelle che si provano di meno.

Registrazione. Utile per correggere articolazione, respirazione, dizione, difetti di pronuncia ma potrebbe risultare arido alla lunga a livello interpretativo.

Io leggo molte volte e poi provo a ripetere pezzo per pezzo. Lo faccio davanti allo specchio per aggiungere al monologo l’espressione del viso e per tenermi composta quando parlo. Il rischio è che il controllo delle espressioni del viso tenda a sconfinare nella regia del pezzo, ma è un rischio abbastanza remoto.

Leggo e ripeto, leggo e ripeto dividendole battute in frasi e concetti, cercando di capire e interpretare pienamente ciò che c’è scritto. Bisogna poi cercare di unire il tutto in modo omogeneo in modo da non avere troppi frammenti slegati tra loro.

– Come primo lavoro di memorizzazione visiva scrivo le battute prima delle mie e poi le mie. Come secondo step di memorizzazione visiva scrivo solo la parte finale delle battute prima delle mie e poi ancora le mie. Come terzo step registro il 1 punto e ascolto varie volte e poi registro il 2 punto e ascolto varie volte. Come ultimo passo registro tutte le battute degli altri personaggi e lascio lo spazio vuoto per recitare le mie con cesure, intenzione e qualità del personaggio.

– Registro in continuazione tutto il pezzo poi ogni frase con parole mancanti poi ripeto senza ascoltare. Il rischio è che in questa sorta di “quiz” si perda subito la parte interpretativa (la parte principale dell’obbiettivo da raggiungere)

Io accento e metto le cesure alle mie battute e poi leggo e ripeto più volte cercando di memorizzare gli accenti e le cesure. Dopo mi registro prima cercando di stare attenta solo alla dizione, e poi faccio un’altra registrazione di tutte le battute cercando di fare sia dizione che interpretazione. Poi mi ascolto e ripeto prima solo in dizione e poi aggiungendo l’interpretazione. L’ideale sarebbe rendere la dizione scontata e l’articolazione della parola una norma in modo tale da bruciare i tempi e finalmente non separare il buon uso della vocalità a un buon uso del corpo che la racchiude (è come dire che si separa l’uso di una gamba dall’altra).

Registro le scene in cui son presente recitando tutti i personaggi e mi riascolto. Poi registro la scena solo con le battute degli altri personaggi e lasciando un “buco” di silenzio per le mie battute, così quando riascolto attacco e do io la battuta. Ultimo step quando son diventata bravina: recito a voce alta tutte le battute, mie e degli altri. Un procedimento lungo e laborioso che però sicuramente rende sicuro lo stare in scena ed è un allenamento sotto tanti punti di vista che però non deve togliere nulla al proprio lavoro.

Obbligo mia madre a fare tutti i personaggi e ripeto le mie battute. Prima veloce senza interpretazione e poi con sempre più intenzione. Dipendere dagli altri è sicuramente rischioso, soprattutto se “gli altri” non sono colleghi. Ma l’immagine di una madre “obbligata” all’esercizio è molto divertente.

Non ho un vero e proprio metodo. Memorizzo manco fossero un mantra i finali di battuta prima delle mie, quasi come facessero parte della mia battuta, e li ripeto ripeto ripeto. Mi aiuta molto memorizzare studiando in simultanea il personaggio, trovando una voce, un’intenzione. Diciamo che più interpreto, più mi vien facile. Ma alla base c’è ripetere ripetere ripetere. Non avere un metodo è sempre rischioso, lasciare al caso e all’ispirazione la preparazione di un lavoro è sempre negativo soprattutto perché affidarsi solo all’interpretazione, all’intenzione e alla “voce” è troppo casuale, approssimativo.

Scandisco ogni sillaba di ogni parola della frase mentre ripeto in modo neutro, acquisita un po’ di memoria vado più liscio sempre neutro, acquisita più memoria ancora ripeto velocemente sempre neutro ma usando il corpo (gesti, spostamenti) per vedere che mi viene da fare istintivamente, ultima fase quando ho buona memoria provo la scena direttamente se ho vuoti rallento e sillabo o faccio movimenti a ritroso. Corpo e voce riuniti come dev’essere. Approccio lungo ma che dà certamente una gran sicurezza. Bisogna solo far sì che il gesto istintivo lasci poi spazio alla tecnica, al rigore e all’elasticità in sala prove davanti a chi cura la regia e spazio all’azione di chi sta in scena con noi.

Cerco di memorizzare anche le battute precedenti alle mie, non esattamente, ma il senso generale. Cerco sempre di capire l’intenzione del personaggio, in modo da vivermi la scena e non avere problemi di memoria. Capire cosa si sta dicendo e perché lo si dice è certamente indispensabile.

Evidenzio in giallo la mia parte poi evidenzio con colori diversi le battute prima delle mie, per cercare di memorizzare. Leggo e ripeto diverse volte, cercando di ripetere con il copione chiuso. La memoria visiva certamente aiuta parecchio, ma non basta dal momento che ci lascia dipendere troppo dalle altre persone e dalla loro memoria.

Leggo. Ripeto prima la battuta a mente. Cerco la/le parola/e chiave delle battute. Poi le provo. Se non mi convince cambio la parola chiave. Solo per memorizzare però perché poi nell’interpretazione normalmente le parole chiave si inter-scambiano.

È importante darsi appigli, soprattutto interpretativi. Ma dopo aver memorizzato il testo bisogna lasciare libera ed elastica l’interpretazione.

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Queer as f*ck! – ben oltre un semplice laboratorio

“Ferai Teatro fa un altro laboratorio teatrale gratuito riservato agli under30”

ma in realtà non è solo questo.

Queer as f*ck! è l’occasione per trattare tematiche di sessualità in maniera davvero libera grazie al teatro; Queer as f*ck! è anche e soprattutto un’occasione: quella di celebrare la vita raccontando molte vite diverse e ricordando che la diversità è ricchezza, non povertà; Queer as f*ck! è un percorso che fa bene all’anima e al corpo perché l’arte fa bene alla salute sempre e in ogni circostanza; Queer as f*ck! è un percorso che porterà alla luce del sole storie vere che hanno cambiato il mondo; Queer as f*ck! è l’occasione per prendere coscienza che la natura umana e animale non è una strada a senso unico bensì molte strade, alcune si incrociano mentre altre saranno sempre parallele; Queer as f*ck! è la possibilità di far conoscere la magia dell’arte; Queer as f*ck! è la serenità di ritrovarsi per un fine più grande, quello di fare un teatro politico nella misura in cui la politica è bellezza collettiva; Queer as f*ck! è spirito di squadra, fratellanza, sorellanza, amore e rispetto.

Dal 4 maggio al 22 giugno, tutti i sabati dalle 15 alle 17 alla Silvery Fox Factory in via Dolcetta 12, costruiremo un percorso di consapevolezza sociale attraverso l’arte teatrale: si andrà in scena venerdì 28 giugno in occasione dello spettacolo “Niente e così sia” che è in prova da inizio marzo con la classe Odeon della scuola di Ferai Teatro all’interno della rassegna “Ferai/Pride”* (clicca qui) per celebrare i 50 anni dai Moti di Stonewall.

INFO E ISCRIZIONI: [email protected]

 

 

Il vero successo (di Andrea Ibba Monni)

Da 11 anni a questa parte abbiamo tagliato tanti traguardi ma i più belli sono quelli che conseguono le persone che hanno iniziato a fare teatro da noi: perché quando la scuola diventa passione e la passione diventa lavoro allora il nostro obbiettivo è stato raggiunto.

L’elenco è lungo, speriamo sia ancora lungo ma non perché il nostro ego ne tragga giovamento, ma perché significa che i sacrifici e l’ideale sono stati sposati anche da altri: ci siamo messi a correre da soli, in salita e adesso siamo sempre di più.

Da sempre io e Ga’ avevamo un sogno: creare una nostra realtà, un nostro teatro ma non perché gli altri non andassero bene, semplicemente perché noi non andavamo bene per loro, quindi ci siamo messi l’anima in pace e abbiamo costruito attorno a noi.
Adesso abbiamo uno spazio nostro (questo), l’abbiamo chiamato “factory” perché vogliamo sia una fabbrica di idee e talenti che artigianalmente e con dedizione, abnegazione e duro lavoro producono bellezza.

In questi anni abbiamo messo in scena svariate produzioni di successo, una scuola di recitazione che cresce di qualità e quantità anno dopo anno, collaborazioni preziose con altre associazioni meravigliose. 
Abbiamo ancora tanti progetti, tanti sogni: cerchiamo di presentarveli al più presto.

Ci stiamo riuscendo, piano piano, sbagliando sempre perché osiamo sempre: e non siamo più soli.

Perché tutti, se lo vogliono, dovrebbero fare teatro (di Roberta Mossa)

L'immagine può contenere: 4 persone, spazio al chiuso

Ben 6 anni fa ho deciso di provare a fare teatro e sono ben 6 anni che rinnovo questa decisione. Un amico, un conoscente o qualunque altra persona mi dice che, forse, potrebbe pensare di iniziare a fare teatro e mi chiede un po’ come funziona, se glielo consiglio e se penso che ne sarebbe capace, visto che lo faccio da tanto tempo. A quel punto – ogni volta – sento che mi si accende una lucetta febbrile negli occhi e inizio a raccontare sempre più entusiasta di quanto sia bellissimo, fantastico, incredibile, di quanto la persona che ho davanti dovrebbe assolutamente farlo, oh mio dio ti ci vedo moltissimo, ti divertiresti un sacco con il comico, per non parlare del drammatico, ecc ecc.

La verità è che posso anche non sapere niente della persona che mi sta di fronte, potrebbe essere la persona più impacciata o emotivamente repressa del mondo, ma io penso che tutti, se lo vogliono, dovrebbero fare teatro, a prescindere dal carattere e dalla storia personale di ognuno. Lo dico con così tanto entusiasmo perché… beh, perché per me è stato importante, nonostante gli alti e bassi. È un’esperienza che può dare davvero tanto sotto molti punti di vista. Poi certo, non siamo tutti uguali, ci sono tanti elementi che influiscono, ovviamente, primi tra tutti l’interesse e la passione; conta molto anche il significato che decidi di dargli nella tua vita.

La prima volta che sono arrivata a Ferai non avevo nessun tipo di esperienza. Ricordo che Andrea Ibba Monni e Ga’ ci chiesero perché avessimo deciso di fare teatro. Io, in effetti, non ne avevo idea. Era stata una di quelle scelte che sembrano casuali e non lo sono affatto, che non sapresti giustificare a parole, ma che sono dettate dall’istinto e che proprio per questo sono più radicate dentro di te. Ho risposto che lo facevo perché ero timida e volevo superare questo mio limite. Andrea – ricordo benissimo la sua faccia tutt’a un tratto incupita – ha risposto seccamente che il teatro non serve a risolvere i propri problemi personali e che avrei dovuto abbandonare quell’idea. Inizialmente ero rimasta un po’ interdetta e avevo deciso di non dare peso a quella frase, ma in fondo si, aveva ragione, il teatro non risolve i tuoi problemi. O perlomeno, non è quello il suo scopo.

Semplicemente il teatro è entrato nella mia vita e la mia vita è entrata nel teatro. La vita e il teatro non sono due cose così tanto separate come potrebbero sembrare. Non ho risolto quello che pensavo fosse il mio problema, la timidezza. Io sono sempre la stessa, ma allo stesso tempo sono diversa. Ecco, questo è veramente difficile da spiegare.

Basta pensare anche solo all’analisi del personaggio: ricostruire storie come se fossero un puzzle, sulla base del testo, creare immagini, scoprire mondi interiori totalmente diversi dal tuo, ma che hanno molto a che fare con te. Anche quando credi che il personaggio che ti viene affidato sia distante anni luce da quello che sei. Devi scavare nelle tue esperienze personali per riuscire a capirlo, quindi a viverlo. Per esempio io non sarò mai – spero! arida come Assunta, il mio personaggio in “Maria Gratia Plena”, ma so cosa vogliano dire il risentimento e il rancore, l’ansia di perfezione, la repressione dei propri desideri che ti conduce all’apatia. Non so cosa voglia dire neanche provare una gelosia, un’invidia e un amore talmente malsani da spingerti al suicidio, come Assia Wevill nello spettacolo che stiamo allestendo su Sylvia Plath. E allora non resta che ricordare come ti sei sentito quando ti sei trovato in una situazione simile, ma più blanda, o a volte anche solo focalizzarsi su quel tipo di emozione. Tutti abbiamo sperimentato la gelosia, l’invidia, l’amore. Mi capita di provare una certa curiosità verso quello che io stessa vivo nella vita di tutti i giorni, perché se posso capirlo e analizzarlo quando capita a me, posso provare a riportarlo anche sul palco. Questo ti rende più consapevole, sicuramente, ma è una sorta di effetto collaterale. Insomma non puoi prescindere da te stesso quando cerchi di far vivere un personaggio, prova dopo prova. E infatti, se dovessi rifare uno spettacolo che ho fatto tempo fa nello stesso ruolo, sono sicura che sarebbe diverso, che avrei energie diverse, altre esperienze da cui attingere.

Il mio primo esito scenico è stato Goethe: Faust” nel 2013. Ho iniziato a costruire il mio piccolo spazio creativo al di fuori dei libroni enormi di diritto e dei problemi della vita di tutti i giorni. Era bello, era liberatorio andare alle prove e per due ore non pensare a niente, uscirne rigenerata, come se avessi fatto una lunga vacanza.

Quando qualcuno mi dice che si vergognerebbe a recitare di fronte a tante persone (“ma io non ce la farei mai, tutti quegli occhi che ti guardano, sicuramente mi blocco, farei una figura di m***!”) racconto sempre com’è andata la prima volta che sono salita sul palco, per dirgli che se ci sono riuscita io, che avrei potuto vincere “sciallissima” le Olimpiadi dell’ansia, può riuscirci anche il mio interlocutore. È andata così: insieme ad altre tre mie compagne aprivamo lo spettacolo, eravamo davanti al sipario, rivolte verso il pubblico.

Cazzo, non posso credere che me ne sto qui, davanti a una marea di persone, senza essere completamente paralizzata dall’ansia!

Sentivo solo l’adrenalina a mille e un’energia che mi scorreva dentro che non avevo mai provato prima. Era bellissimo, il pubblico non mi faceva paura, mi sembrava quasi che non ci fosse. Non sentivo sguardi ostili o giudicanti, li sentivo curiosi e interessati. Era come se la timida, la fifona Roberta in quel momento si fosse dileguata. Poi è tornata, naturalmente, non è successa nessuna magia. Però ho capito che quellaenergia particolare non l’avrei dimenticata facilmente, che l’avrei cercata sempre, come una dipendenza.

Poi potrei parlare dei momenti difficili, di tutte le esperienze che ho sentito come fallimenti. Ci sono sempre i momenti di up e i momenti di down. Quando pensi di non farcela, di non essere all’altezza, o anche semplicemente quelli in cui non hai voglia, in cui stai pensando a tutt’altro, il lavoro, lo studio, gli altri problemi. A volte pensavo no, non ce la faccio, è troppo difficile, non ho idee, so che fallirò, magari mi preparo meglio a casa e torno qui alle prove che sono capace, pronta per fare quell’esercizio o provare quella parte. Mi sono sempre sentita rispondere che l’unico vero fallimento è non fare niente, perché fare qualcosa, anche male, è sempre e comunque un inizio. Prima non ci credevo. Il momento di svolta è stato lo spettacolo del 2016 Silvery Fox”. Non saprei descrivere quello spettacolo. So solo che tutti i miei compagni erano entusiasti, non vedevano l’ora di andare alle prove, io invece ne avevo una paura fottuta ed è stato orribile, ma è proprio per questo che ha segnato un momento di svolta, forse il più importante. La vera vittoria è quando dici a te stesso “Adesso basta. Basta dire no, non ce la faccio. Vai e buttati, senza pensare, lasciati andare.”

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Roberta Mossa

RezzaMastrella chi? Dove? (di Andrea Oro)

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RezzaMastrella fuori dall’ex Divina Provvidenza a Nettuno.

Questo il brutale e secco titolo che i giornali italiani riportano in questi giorni di gennaio.

Per chi si fosse collegato solo ora RezzaMastrella è un duo teatrale, se così possiamo definirlo, tra i più importanti in Italia. Leoni d’Oro alla carriera per il Teatro 2018 , creatori di un linguaggio nuovo, del tutto personale, frutto della fusione e collaborazione fra Antonio Rezza – performer attore e autore e Flavia Mastrella – autrice, scultrice e scenografa.

Antonio Rezza è “l’artista che fonde totalmente, in un solo corpo, le due distinzioni di attore e performer, distinzioni che grazie a lui perdono ogni barriera, creando una modalità dello stare in scena unica, per estro e a tratti per pura, folle e lucida genialità. Flavia Mastrella è l’artista che crea habitat e spazi scenici che sono forme d’arte che a sua volta Rezza abita e devasta con la sua strepitosa adesione; spazi che abita e al tempo stesso scardina, spazi che diventano oggetti che ispirano vicende e prendono vita grazia alla forza performativa del corpo e della voce di Rezza. Da questo connubio sono nati spettacoli assolutamente innovativi dal punto di vista del linguaggio teatrale.” (dalla motivazione)

Spettacoli come Pitecus (1995), 7-14-21-28 (2009), Fratto X (2012), Anelante (2015) e non solo.

Capaci di tirar fuori dal cilindro (fra gli altri) un lungometraggio lunare e completamente al di fuori dalla tradizione cinematografica italiana, Escoriandoli (1996) o capaci di sbarcare recentemente in Tv con La tegola e il caso- Quando la scena è servita (2018) in cui hanno realmente portato il Teatro e l’arte performativa nelle case degli italiani, entrando fisicamente nei salotti di un pugno di fortunate famiglie per mettere in piedi – ed in scena- dei corti tratti dai loro spettacoli più famosi e adattandoli sul momento allo spazio domestico.

Un Teatro realmente nuovo ed un linguaggio completamente personale uniti ad un gusto per la satira più tagliente e sferzante, con un filo rosso che lega le loro prime produzioni nei centri sociali a quelle ultime in giro per i maggiori teatri stabili italiani; la critica al Potere.

E sarà forse per questo loro continuo sferzare, scucire e sfilare le trame più ipocrite e ridicole del Potere che ora, il potere politico, pare non interessarsi alla loro vicenda.

Il Comune di Nettuno ha infatti stabilito che lo spazio in cui provano, montano e confezionano i loro spettacoli dal 1985, l’Ex Divina Provvidenza di Nettuno, ex ospedale da anni ormai patria di artisti, laboratori artistici, cultura e teatro (in tutti i sensi) dell’attività di RezzaMastrella debba essere chiuso e sgomberato per problemi di agibilità. Sfrattati dalla loro casa a suon di carte bollate e senza un piano di ristrutturazione da parte del Comune (gestito dal 2016 dal commissario prefettizio e viceprefetto Bruno Sarti) .

L’Associazione culturale Ibis Onlus, la compagnia teatrale RezzaMastrella, il laboratorio ceramico Gatti – Silvestri, comunicano agli organi di stampa quanto segue:

Ottemperando alla ordinanza dirigenziale n373 del 16 ottobre abbiamo provveduto a far periziare i locali in cui si svolgono le nostre attività da parte di un ingegnere iscritto all’altro ed esperto di sicurezza.
Dalla relazione da lui prodotta e inoltrata al commissario Bruno Strati non si evidenziano situazioni tali da giustificare lo sgombero. Contestualmente abbiamo chiesto un incontro con il commissario per dettagliare meglio il documento trasmesso e cercare di trovare una soluzione tra le parti.
Non essendo pervenuto nessun riscontro alla nostra proposta abbiamo provveduto tramite nostro legale a rivolgerci al Tar del Lazio per ottenere la sospensiva dell’atto di sgombero. Pertanto oggi ci rivolgiamo a tutte le realtà sociali, culturali e politiche del territorio perché si pronuncino sulla destinazione d’uso della Divina provvidenza“

In tutto questo una domanda sorge spontanea; la Politica che fine ha fatto? In questi anni abbiamo sentito parlare i nostri politici di cambiamento, di rivoluzione, di stravolgimenti epocali. Ma carta canta, e le carte bollate hanno una voce particolarmente possente, e fin’ora siamo alle solite. Siamo ai soliti sgomberi di centri sociali, di stabili e Teatri occupati , siamo di fronte alla polizia con cani antidroga all’ingresso delle scuole superiori, siamo soprattutto di fronte ad un silenzio di marmo da parte della Politica nazionale, quella che conta. Forse troppo impegnata negli ultimi tempi a prendersi cura in modo “magistrale” di migranti, condoni edilizi e fiscali, regali salvataggi (scusate) a banche e banchieri, leggi su legittima difesa e dichiarazioni spericolate fatte all’interno di piste da sci, magari vestiti con una bella giacca da poliziotto o da pompiere, che fa tanto bene alla comunicazione e signora mia lei lo sa quanto la comunicazione sia importante di questi tempi.

Un nostro ex ministro una volta disse improvvidamente che con la Cultura non si mangia. Aveva ragione. Sui nostri quotidiani pullula di buoni consigli ai nostri giovani, “studiate Economia, non Arte!”

Ecco forse come interpretare lo sgombero (per ora solo minacciato) dell’ex Divina Provvidenza, un buon consiglio ai nostri giovani. Un colpire uno per educarne chissà quanti.

Vedete ragazzi? Con la Cultura non solo non si mangia, ma pure se doveste riuscire a mangiare qualcosa, e magari facendolo portate anche qualche pezzo di bellezza in più al nostro paese, beh, chi se ne frega? Noi vi sgomberiamo a suon di carte bollate. Tanto a nessuno importa di voi.

Dovevate studiare altro, ve lo dicevamo.

Andrea Oro