Le voci di Ferai: Giulia Maoddi

  1. L’intervista di oggi ha per protagonista Giulia Maoddi, attrice, performer e burocrate di Ferai Teatro. Giulia è la mia partner in crime dal 2012, l’ho conosciuta proprio grazie a Ferai e da allora è diventata una delle persone più importanti della mia vita. Giulia è di poche parole, tra poco leggerete la auto-presentazione più breve della storia (mezza riga). Una volta io e lei siamo state in radio per un’intervista su un nostro progetto e lei è diventata un pezzo di legno, non ha spiccicato parola se non per dire ripetutamente che eravamo “due incoscienti”, ridendo. Quindi, ecco a voi: Giulia Maoddi!

 

Eccoci, Giulia! Grazie per aver accettato questa piccola intervista. Certo, te la stiamo mettendo facile dato che non siamo in radio, stavolta. Dicci un po’ di te, racconta chi sei ai nostri lettori.

 

Decisamente più facile. Beh, allora, sono una ragazza di 32 anni che ama profondamente il teatro.

 

Quanti anni avevi quando ti sei avvicinata al mondo del teatro?

 

Era il 2007 quindi avevo quasi 20 anni. Quando ero più piccola mi sarebbe piaciuto seguire un corso di recitazione, ero affascinata dagli attori che vedevo in TV, dal modo in cui potevano “vivere” tante vite diverse, ma vivendo in un piccolo paese non mi è stato possibile. Finché appunto, non mi sono trasferita a Cagliari per frequentare l’università.

 

Come sono stati quei primi anni di corsi di recitazione?

 

Sinceramente? Ne ho un bel ricordo. Ho iniziato frequentando dei corsi universitari, l’insegnante era severissimo e io mi sentivo minuscola e spaventata, ma nonostante questo, il ricordo della prima volta che sono salita sul palco per un piccolo esercizio in cui dovevo recitare un pezzo di Finale di Partita di Beckett è così forte che cancella tutto il resto. È stato bellissimo.

 

Successivamente, come hai scoperto Ferai Teatro?

 

Una ragazza conosciuta durante i corsi di recitazione universitari mi disse che aveva trovato un altro laboratorio teatrale. Si svolgeva nell’oratorio di una chiesa vicino a casa mia. Ho provato ad andarci per curiosità. A quei tempi i corsi erano ancora a nome del Teatro Santa Lucia, ma a tenerli erano Andrea Ibba Monni e Ga’.

Ricordo che sono durata due settimane e poi sono scappata via. Ride. Ero terrorizzata delle lezioni di dizione. Però poi Andrea mi aveva mandato un messaggio per chiedermi come mai avessi abbandonato e mi ha convinto a riprendere. E da allora non sono più andata via.

Per Ferai sei stata sia sul palco che in sala di regia, quindi vorrei chiederti cosa ti ha insegnato la tua esperienza di assistente alla regia?

 

Mi ha insegnato a vedere le cose da una prospettiva nuova. Come attrice, ero una parte dell’ingranaggio, ma vederlo dal di fuori è stato come assistere alla costruzione di un intero mondo. Ogni oggetto, ogni passo, ogni espressione era lì perché lì doveva stare, nella visione del regista. Mi ha messo addosso una gran voglia di studiare e provarci anch’io. Ma stare in sala regia mi ha insegnato anche che sono totalmente negata come tecnico audio-luci. Quella parte è stata un disastro. Ride. Appena entravo in cabina di regia andavo nel panico. No, quella parte la lascio molto volentieri a chi ne sa più di me.

 

Rido. Beh non è mai detto, si può sempre riprovare anche in cabina audio luci!

Entriamo adesso nel vivo e ti faccio una domanda che mi sta particolarmente a cuore. Cos’è il baratto teatrale, cosa rappresenta per te?

 

Il baratto teatrale è uno scambio. Di arte. Di emozioni. Di energie. Uno spettacolo totalmente gratuito in cui il pubblico ti ringrazia come vuole: col suo tempo, con un applauso, con l’accoglierti in casa, con una cassetta di pomodori (è successo davvero!). Questa è la definizione asettica di baratto teatrale.

Per me il baratto teatrale è magia. Non riesco a spiegarlo in altro modo. Passi mesi e mesi a preparare performance e spettacoli, non perché è il tuo lavoro (come ho detto, è tutto gratuito, nessuno riceve un compenso) ma perché in quel momento è l’unico modo che hai per parlare a cuore aperto. E il pubblico lo capisce. Capisce quel linguaggio che non è fatto di parole ma di sensazioni.

Non so esattamente perché accada, ma sinceramente non me lo domando, so solo che tutte le volte è magico.

 

Allora adesso facciamo un gioco, ti nomino un baratto (in cui hai recitato) e tu lo descrivi in massimo tre parole, sei pronta?

 

Che ansia. Va bene.

 

2011, Quartu sant’Elena.

 

Ipnotico.

 

2012, San Sperate.

 

Ingenuo

 

2013, Yakamoz al teatro La Vetreria. (Evento di beneficenza a sostegno di di Codice Segreto Onlus, ndr.)

 

Isterico. 

Era il mio anno Erasmus ed ero rientrata solo per fare il Baratto. È stato come catapultarmi da un mondo ad un altro. Dopo la mia prima scena sono scoppiata in un pianto isterico proprio per quel motivo.

 

2014, Zoi, Cagliari.

 

Emozionante, sfuggente.

 

2015, Selegas.

 

Difficile, confuso e.. Come si dice quando porta a farti tante domande?

 

Non so se esiste un’unica parola, ma hai reso l’idea perfettamente! 2017, Sette, Cagliari.

 

Un pugno nello stomaco (lo so, sono più di 3 parole ma ripensarci adesso è quella la sensazione che mi dà).

Un’ultima domanda, Giulia. So che da qualche anno frequenti dei corsi di canto, pensi che le tecniche di canto ti stiano anche dando “qualcosa in più”, quando reciti?

 

Assolutamente. C’è una base comune tra la tecnica di canto e la tecnica della recitazione. Il controllo del respiro, del diaframma. Faccio gli stessi identici esercizi sia prima di cantare che prima di recitare. Credo che per recitate siano utilissime tutte le arti.

 

Grazie mille Giulia, è stata una bellissima chiacchierata! Solo un’ultima domanda: se dovessi essere costretta a vivere per sempre dentro uno degli spettacoli in cui hai recitato, quale sarebbe?

 

“Maria Gratia Plena”. Mi voglio far del male. Ride.

 

Per me stessa avrei scelto “Passioni A Villanova” (la soap opera teatrale di Ferai, ndr), ecco perché ci compensiamo così bene! Grazie ancora Giulia!

 

Ero indecisa con “A Oriente del Sole a Occidente della Luna”. Grazie a te Ilenia!

Ilenia Cugis

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