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Le voci di Ferai: Roberta Mossa (di Ilenia Cugis)

Intervisterò oggi, per voi, Roberta Mossa. Attrice di Ferai Teatro, ha performato durante “H168” ed è stata una delle due protagoniste dell’ultima edizione de “I Monologhi della Vagina”. Roberta non è una gran espansiva, a freddo, ma basta toccare le corde giuste e scoprirete, insieme a me, quanto diventi chiacchierona! Intanto, se non la conoscete, di lei posso dirvi che l’ho vista mangiare una rapa rossa in scena, mentre il succo della rapa le colava lungo il braccio in maniera estremamente sensuale. Alcune volte ho pensato che Roberta fosse troppo bona per fare teatro (mi distraggo a guardarla!), d’altra parte la trovo invece così brava che sarebbe proprio un peccato non lo facesse. Se l’avete conosciuta durante gli Open Mic nei panni di Suor Michelina (foto), capite cosa intendo. Ok, era una pessima battuta. Beh, che dire, buona lettura!

 

Ciao, Roberta! Innanzitutto grazie per aver accettato di passare dalla parte dell’intervistatore a quella dell’intervistato! Come al solito ti chiedo di parlarci un po’ di te, presentati ai nostri lettori.

Ciao Ile, grazie a te per l’intervista! Allora, questa è la parte più difficile. Ho 28 anni, sono nata e cresciuta a Cagliari, sono laureata in Giurisprudenza, il futuro è un po’ incerto soprattutto dopo che è scoppiata una pandemia globale, un po’ come tutti, credo. Vorrei trovare un lavoro che mi permetta di conciliare la passione per l’arte e nello specifico il teatro con quello che ho studiato per anni, ci sto lavorando diciamo!

Come ti sei avvicinata al mondo dell’arte e poi, nello specifico, al teatro?

Praticamente da subito. Da bambina disegnavo ovunque, quaderni, album, libri e persino sui muri, scrivevo storie e volevo diventare una scrittrice. Volevo pubblicare il primo libro a 9 anni ma il tempo passava e non riuscivo a finire il romanzo… Vorrei ritrovarlo, chissà che avevo scritto! Poi c’è stata l’adolescenza di mezzo e mi sono persa un po’. Ho abbandonato le “ambizioni” artistiche, anche se ho fatto il Conservatorio, ma è un po’ come se anziché sviluppare le attitudini artistiche mi avesse abituato al pensiero strettamente logico e ho perso completamente la creatività. Per la cronaca, ero una violoncellista che in realtà voleva essere violinista… Poi quando avevo 22 anni ho sentito parlare di Ferai. Stavo pensando da un po’ di tempo che mi sarebbe piaciuto provare a fare teatro, ero molto timida e sarebbe stata una bella sfida. Quindi ho convinto la mia migliore amica Ilaria a provare il corso di Ferai e ci siamo ritrovate ogni martedì e giovedì in via Ada Negri, e da quel momento non ho più smesso.

Ci dici che avevi 22 anni… quindi correva l’anno…?

2013/2014, l’esito scenico era “Goethe – Faust

Il Faust, andato in scena al teatro La Vetreria, vero? Me lo ricordo molto bene, ero tra il pubblico!

Sì, ricordi bene!

Ci racconti le tre cose più difficili che hai dovuto superare a teatro?

Innanzitutto la paura del giudizio, l’onnipresente giudizio che ti blocca e ti fa avere sempre paura di sbagliare. E non solo il giudizio degli altri, proprio il tuo. Liberarsi dall’ansia di categorizzare tutto quello che fai in giusto o sbagliato, bene, male, mediocre, così così… Che poi associ anche a te stesso queste categorie, cioè se sbagli o se fai male una cosa vuol dire che sei tu incapace e che non vali abbastanza. E invece il vero errore è non fare niente per paura. Andrea e Ga’ mi dicevano sempre che “l’unico errore è non fare” quando all’inizio non volevo fare le cose, tipo “oggi guardo e basta così capisco”, “no, questa cosa non me la sento di farla” e così via. Bene, hai sbagliato e sei ancora vivo, visto? Cioè dovrebbe essere una cosa scontata, ma per me non lo era affatto in quel periodo. Poi la paura di stare al centro della scena, mi nascondevo sempre un po’. Questo per “Habeas Corpus” soprattutto, avevo un personaggio, Anna, che era una super diva, la odiavo moltissimo! (uno degli spettacoli in cui Roberta era così bella da distrarmi, ndr) Si trattava praticamente di mettere da parte me stessa e lasciar agire il personaggio. E poi ultimamente sto cercando di prestare attenzione ai dettagli, niente approssimazione, ma precisione in tutto, soprattutto nei movimenti in scena.

All’inizio, quando ti sei presentata, ci hai raccontato che da bambina sognavi di fare la scrittrice. Ora vorrei chiederti se la passione per la scrittura ti è rimasta e se il teatro in qualche modo ti dà la libertà di continuare a coltivare anche quel “vecchio” sogno.

Sento che non è ancora il momento per scrivere qualcosa di totalmente mio, non so esattamente perché. Però sarebbe bellissimo scrivere un copione. Per ora abbiamo iniziato un esperimento di scrittura collettiva con lo staff di Ferai, finora è stato molto interessante.

Di cosa si tratta questo esperimento di “scrittura collettiva”? Come hai avuto l’idea?

Nasce per caso da una chiacchierata con un amico, eravamo in Marina e stavamo parlando di cosa fare “da grandi” e ci siamo resi conto di trovarci in una situazione molto simile, quella di andare avanti senza sapere bene dove e perché. Quindi ci siamo chiesti se fosse davvero un problema solo nostro, e abbiamo iniziato a dire “anche Tizio ha questo problema, anche Caia in realtà, solo che lei se la vive bene, pensa che la flessibilità sia un’opportunità” e così via, nel senso, secondo noi è una situazione abbastanza comune. E pensandoci ancora meglio, dopo, non è solo precarietà lavorativa, è precarietà su tutti i fronti, emotiva, relazionale, ognuno a suo modo, quindi esistenziale dovrebbe essere la definizione giusta. Se il teatro in qualche modo deve essere attuale, contemporaneo, beh potrebbe raccontare questa condizione, questo senso di smarrimento, dell’impossibilità di controllare tutto e dell’imprevedibilità della vita. E siccome risentiamo molto della mancanza di una comunità, nel senso che devi sempre cavartela da solo a prescindere dagli strumenti a disposizione, viviamo nel mito dell’auto-realizzazione, dell’esaltazione dell’ego ecc ecc, ho pensato che sarebbe stato bello che questo copione lo scrivessimo in gruppo. È bello anche investire le proprie energie in qualcosa che appartenga a tutti e non a me stessa e basta, credere negli altri oltre che in se stessi.

Così, in sei, abbiamo avviato una fase di ricerca libera da condividere con gli altri. Se uno di noi trovava un film interessante sul tema lo consigliava a tutti, stesso discorso per libri, opere d’arte visive, articoli di giornale, qualsiasi cosa. In particolare ci siamo concentrati su interviste a persone che secondo noi avevano una storia interessante, perché volevamo prendere spunto dalla realtà, soprattutto in casi particolari, per esempio abbiamo deciso di affrontare il problema della precarietà nelle disabilità, non volevamo una rappresentazione edulcorata del disabile ma un ritratto psicologico vero per creare un personaggio, non un cliché. Quindi abbiamo raccolto tutto il materiale, lo abbiamo letto e ci siamo fatti una nostra idea dello spettacolo e dei personaggi. E poi, brainstorming per capire cosa scrivere: cioè la trama e le singole scene dello spettacolo. La storia che abbiamo creato è completamente diversa rispetto a quella che immaginavo all’inizio e sono stata molto felice di questo! E infine ci siamo affidati ognuno una scena da scrivere, alcune a due mani. Ora sto rivedendo il copione, sto tagliando e sintetizzando, questo lavoro deve farlo una sola persona perché è più pratico. Tutto ci sto tagliando! Che bello!

Rido. Non vedo l’ora di scoprire il risultato!

Devo dire che per fortuna nel gruppo c’era chi aveva già esperienza nel scrivere copioni in 3/4 persone, altrimenti sarebbe stato più complicato! Siamo quasi alla conclusione, te lo prometto. Adesso, Roberta, ci descriveresti la tua esperienza in “H168” usando solo 12 parole?

H168”! Follia, intensità, fiducia, empatia, rischio, ansia, follia al quadrato, scala rot… Ehm. Euforia, tristezza, paranoia, silenzio, intimità, concentrazione.

Grazie mille Roberta, è stata una chiacchierata molto interessante! Prima di congedarci, un’ultima domanda: Se la tua vagina potesse parlare, cosa direbbe?

Ride. Questa non me l’aspettavo! La mia vagina è una tipa che ha idee progressiste ma sogna il principe azzurro, dice che spera che tutte le vagine del mondo siano felici e che godano sempre moltissimo, anzi è anche un po’ ingenua e si è candidata a “Miss Italia delle Vagine” e dice che il suo sogno è la pace nel mondo, e si augura che le ragazze smettano di fingere gli orgasmi per compiacere i partner e che inizino a conoscersi meglio quindi a masturbarsi senza vergogna e a provare piacere quando, come e con chi vogliono! Direbbe di seguire i propri istinti e ascoltare le vagine che hanno sempre ragione! Che poi… anche se si è candidata per Miss Italia, non vuole lo stesso farsi vedere in pubblico!

Una vagina che quando vuole sa essere una gran chiacchierona, come la nostra Roberta!

Ilenia Cugis