Archivi tag: roberta locci

Le voci degli artisti: Roberta Locci (di Ga’)

Roberta Locci è attrice, insegnante di recitazione, drammaturga, regista e aiuto-regista, ha una carriera dedicata alla formazione, alla ricerca – come dice lei stessa – non finalizzate a un punto di vista assoluto ma sempre in ascolto di un limite, uno sguardo diretto alle possibilità della ricerca. Nel curriculum di Roberta troviamo nomi celebri, da Claudia Castellucci, Else Marie Laukvik dell’Odin Teatret, Sainkho Namchylak, fino a Zigmunt Molik e questo solo per citare in modo riduttivo alcuni dei tanti, solo per farci l’idea di un’artista che in quanto tale non ha mai rinunciato alla formazione e al confronto continuo con realtà esterne e il cui lavoro ultimamente è direzionato particolarmente alla formazione dei più giovani (anagraficamente parlando) vediamo in che modo, nella nostra intervista.

GA’: Bene, come sai l’intervista verrà pubblicata su OFF il magazine online di Ferai Teatro e come sai ti ho promesso un’intervista assolutamente non-pretestuosa, ma partiamo da una domanda abbastanza pretestuosa per scongiurare il tutto, e la domanda è: Chi è Roberta Locci? Dovessi rispondere io per quel che so, ci sarebbero molte risposte diverse, tanti ambiti, la tua risposta invece… è ?

ROBERTA LOCCI: La risposta è credo semplice: sono quello che vedi tu, quello che vedono gli altri o ciò che non sempre si vede ma che in un modo o nell’altro si manifesta.

Ciò che non si vede, ma in qualche modo si manifesta, potrebbe sembrare un tema artistico che ti è caro più di altri? O sbaglio? Personalmente per esempio mi affascina il lato immateriale delle arti, musica, pittura astratta, arte concettuale in genere, è così anche per te? O … meno?

Sì direi di sì anche se non è assoluto, a volte trovo fascino e bellezza dove non avrei mai detto di poter trovare

Assolutamente, Zappareddu ad esempio (e tanti altri) affermava che “se ti prende, se ti è emoziona” è sempre “primo teatro” che sia uno spettacolo performativo e tecnologico o che sia il più tradizionale Amleto russo. Andando su cose attuali, come stai passando questo periodo, mi fai una sintesi alla russa di come hai passato/passi da artista questa quarantena?

Mi sono FERMATA. Sono sospesa, non so come spiegarti il mio stato, è come se avessi bisogno di stare immobile a guardare. Leggo, guardo film, imparo a cucire, e faccio la badante provvisoria.

Saper cucire è utile in mille occasioni. La badante provvisoria? Dimmi dimmi

La badante è proprio un’esperienza, ho uno zio prete e una zia zitella che vivono insieme e sono entrambi molto vecchi. In questo periodo sono stati “abbandonati” dalla signora che si occupava di loro. Ora ci vado io un giorno sì e uno no. Occuparsi di due corpi fragili e inermi è toccante. Gioco a palletta con lo zio e faccio dipingere la zia. Un mondo sospeso anche il loro.

Un’esperienza, decisamente. A me capita che, avendo più tempo, che oltre allo studio personale, ci sia anche uno strano ascolto, un ascolto diverso della creatività, a te sta capitando? Sentire che ci sono idee nell’aria, che anche se sei ferma c’è qualcosa che cova da qualche parte, oppure è solo un “ferma ferma ferma”?

Per quanto riguarda l’ascolto di ciò che accade è confuso. Mi ritrovo a volte infastidita da alcune idee di “ripresa”, ma la mia testa non è ferma.

Senti, mi racconti, così come ti viene un’esperienza artistica che ti ha segnata, ma che non rifaresti e una che invece rifaresti anche adesso.

Un’esperienza che mi ha segnata… Ora mi/ti spiazzo. Il lavoro con la scuola Meucci lo scorso anno: un lavoro laboratoriale difficilissimo ma che mi ha fatto capire di cosa mi voglio occupare. Ormai da anni sono proiettata al lavoro con e per i giovani e giovanissimi. Scontrarmi con una realtà giovanile così complicata ha risvegliato in me la voglia di cambiare il mondo. Quella che ti spinge verso il processo artistico, la voglia di sporcarti le mani, senza patine, senza voler mostrare, con onestà profonda, intima. Lavorare per dare uno strumento in mano ad altri “di poter dire” per poter esistere fuori dall’etichetta comune. Ecco un po’ questo, l’esperienza artistica che non rifarei invece non te la dico!

Posso almeno immaginarla? Forse posso.

Beh, hai scelta. Scherzo!

Per concludere, visto che il tempo è poco, ti chiedo proprio questo, il tuo prossimo lavoro quindi sarà orientato in tal senso, aldilà che ora siamo fermi, ma la testa no, l’obiettivo è rilavorare con giovani con cui studiare questi strumenti o prenderai qualcosa anche “per te” per un tuo lavoro in solitaria o in compagnia?

Beh lo sguardo è in quella direzione ma non è assoluto. Uso il termine sguardo non a caso. È il suo limite ciò che mi interessa. Quello che di solito non vediamo perché impegnati a mettere a fuoco ciò che ci appare come immagine principale, in fondo qualsiasi progetto affronterò ruoterà sempre sugli stessi concetti. Io lavoro sempre sulle stesse cose in fondo.

Il Teatro racconta le cose della vita, limitate e sempre quelle, ma appunto, non è il concetto, è probabilmente il come, è il limite, lo sguardo di cui parli ciò che fa dire “ricercare ha senso.” Io direi che siamo stati bravissimi a stare nei brevi tempi a disposizione, spero che parleremo dei reciproci “sguardi” presto di persona, anzi, non presto: ma nel tempo giusto.

GA’