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Le voci degli allievi: Federica Pittau

Federica Pittau sei un’artista neo diciottenne che tra le varie forme d’arte esplora anche la recitazione dal momento che frequenti la classe Odeon di Ferai Teatro. Ma tu come ti descriveresti?

È una domanda difficilissima! Credo di essere tante cose, tante piccole essenze. Una cosa di cui sono pienamente consapevole è che sono estremamente sensibile ed empatica, cosa che mi aiuta molto nell’ambito artistico al quale da un anno a questa parte mi sono completamente dedicata.

Credo di essere combattiva, so ciò che voglio e sono disposta a tutto per raggiungerlo: non importa la difficoltà o la fatica, anzi, la soddisfazione sarà migliore, no? Ho sempre pensato che noi nasciamo per poter creare sogni, coltivarli, lottare, raggiungerli e poi goderceli. Ho imparato che la mia felicità sta nelle piccole cose, come può essere un momento passato con le persone che amo di più o anche solo vedere un loro sorriso sincero; mi godo i piccoli ma spensierati momenti, i piccoli traguardi o semplicemente tre minuti della mia canzone preferita. Sono uno spirito libero, amo infrangere gli standard o la “normalità”, amo la ribellione sana, amo la rottura degli schemi, amo abbattere giudizi e pregiudizi e amo combattere per la libertà mia e altrui.

Perché fai teatro?

È da tempi “immemori” che ho un’attrazione sproporzionata verso la recitazione, da qui il mio primo musical serio a 9 anni nel quale interpretato il piccolo Michael Banks di Mary Poppins. Ho sempre guardato i film in modo diverso dalle altre persone, oltre l’immagine, studiando fin da subito le movenze, le mimiche facciali e la grandezza degli attori. L’amore verso il teatro in particolare poi è sbocciato proprio durante la mia fase acuta adolescenziale, quando frequentavo le medie. Ho avuto la fortuna di avere un’insegnante d’Italiano straordinaria, tutt’ora uno dei miei idoli indiscussi, amante anche lei di questo mondo speciale che è riuscita a trasmettermi e a far crescere dentro di me questa passione. Grazie a lei sono entrata nel mondo del palcoscenico, ho visto tanti spettacoli e guardato e sentito tanti attori che mi hanno stregata, portandomi a pensare “un giorno vorrei essere così!”.

Cos’è per te il teatro?

Faccio teatro perché amo il teatro e amo fare teatro in tutte le sue sfumature: cambiare e diventare qualcun altro rappresenta tantissime sfide (perché non è mai semplice interpretare, inventare o reinventare personaggi molte volte completamente differenti da te e con diversa situazione). Il palcoscenico poi è un mondo a parte distaccato dal nostro quotidiano, una dimensione dove la vita è eterna, dove i personaggi nascono, vivono e muoiono in continuazione, dove anche la più piccola cosa assume un significato esponenziale. Ora come ora sto studiando sodo, cerco ogni giorno di affrontare e sconfiggere le mie difficoltà perché vorrei portare questa passione oltre una passione stessa, realizzare il mio sogno più grande in assoluto ossia diventare abbastanza brava da poter trasformare tutto questo in lavoro.

Per me il teatro è vita: ho trovato lì la mia stabilità e gran parte della mia felicità e soddisfazione. È il mio posto felice, il mio luogo sicuro, la mia seconda casa. Ho trovato persone con le mie stesse passioni, amici veri, anime diverse tra loro, tante storie, amore, supporto e un’altra famiglia. Con il teatro riesco a dare sfogo al mio essere, trasmettere le mie emozioni, dare parte del mio spirito e riceverne altrettanto

Vai a teatro?

Sì, ci vado un po’ per lo stesso motivo per cui lo faccio. Sotto un punto di vista tecnico “sfrutto” gli spettacoli altrui per imparare sempre cose nuove, vari metodi di comunicazione e trasmissione, apprendere i diversi stili o conoscere altre circostanze; dall’altra vado per catapultarmi in altri luoghi, realtà parallele alla mia, perché la vita sul palco è vera, al di là dell’attore e della scenografia, ci sono personaggi e mondi reali. Nel mondo dello spettacolo poi molto spesso i limiti non esistono, c’è più libertà, più sentimento, più poesia, è tutto più profondo e spesso umano. E poi è un mondo così profondo e vivo che ogni volta è un “innamorarmi nuovamente” del teatro.

Qual è l’esperienza finora più importante con Ferai Teatro?

Anche questa è una domanda ardua perché ci sono stati moltissimi momenti vissuti con Ferai che mi hanno segnata e che mi porterò dentro per tutta la vita. L’esperienza più bella in assoluto però è stato il palco e credo continuerà ad essere tale: l’adrenalina, l’amore e l’attenzione del pubblico che è venuto lì proprio per vedere lo spettacolo a cui partecipi, la trasformazione da te al tuo personaggio, l’unione e la solidarietà, la felicità e il sostegno palpabili nell’aria, un po’ come anche la tensione prima dello spettacolo, tutto tra te e i tuoi compagni d’avventura, d’arte, i tuoi amici, coloro che diventano la tua seconda casa e famiglia, senza contare la festa, la tantissima nostalgia successiva la fine dello spettacolo e la grandissima soddisfazione dopo aver messo in scena frutto di tantissimo impegno, lavoro, sacrifici e ostacoli superati, una soddisfazione personale e collettiva. Sono sensazioni ed emozioni talmente grandi da non poterle descrivere pienamente, solo chi ha provato l’essenza di un’esperienza simile può, in parte, capire.

N.B.O.

Le voci degli artisti: Cristiana Cocco (di Andrea Ibba Monni)

Mi sono innamorato di Cristiana Cocco, ve lo dico. Il mio articolo doveva iniziare così: “Cristiana Cocco è un’attrice, una cantante, una scrittrice, una pittrice” perché questo è ciò che lei è per il resto del mondo (oltre al motivo per il quale la sto intervistando) ma invece lei la pensa diversamente.

Su Facebook la trovi col nome utente “Crstiana Cocco” e subito ti viene da pensare che non è una persona che perde tempo a scrivere il suo nome con tutte le lettere al posto giusto perché è troppo occupata a vivere. Un consiglio: aggiungila subito ai tuoi amici virtuali perché scrive cose bellissime ma la privacy dei suoi post non è pubblica ed è un peccato perdersele. Scrive soprattutto la notte dal momento che forse reputa che dormire sia un grosso spreco.

Un paio di settimane fa abbiamo pensato di rendere reale questa amicizia social dopo che per anni ci siamo annusationline: ci siamo scambiati il numero di telefono, di notte, dal momento che anche per me vivere è una fame insaziabile.

Le nostre prime telefonate sono state divertentissime: parliamo di arte e Piero Angela, di Diritti Civili e Topo Gigio, mischiamo l’alto e il basso ridendo a crepapelle e promettendoci che appena possibile ci vediamo per bere un bicchiere (o una bottiglia?) e magari anche far qualcosa insieme su un palcoscenico. Magari!

Affronto questa intervista col distacco che merita la situazione ma finisco col farmi sedurre, come già è successo prima su Facebook e poi al telefono: attenti perché sedurrà anche voi. Ecco cosa ci siamo detti.

ANDREA IBBA MONNI: Cosa si dice di te in giro? Cosa vorresti che si dicesse?

CRISTIANA COCCO: Senza falsa modestia ti dico che assolutamente non lo so. Vorrei che si dicesse che sono un’artista, vorrei che fosse indubbio il mio esserlo.

Se dovessi spiegare a un bambino di tre anni chi è un Artista che parole useresti?

Artista è chi ha una visione alternativa alla realtà proposta, è qualcuno che sa sognare.

Qual è la tua realtà?

La mia visione della realtà non è mai la stessa. Per me è ciò che traducono i miei occhi a seconda di ciò che provo. Certo è che amo la vita e che voglio sia un capolavoro.

Cosa significa fare l’artista in Sardegna?

Significa cercare di ricavare un proprio modo di esprimersi ed essere riconosciuti. Ovviamente da sardi in terra sarda, cioè da nemo propheta in patria, non è semplice. Ma è sempre così, ovunque: non si apprezza mai ciò che si ha.

Tu chi apprezzi nel luogo che consideri patria?

In Sardegna sono tanti: mi piace molto ciò che è esportabile e non regionalistico, non tanto il folklore: a me non mi piace particolarmente l’eccesso di sardità. Adoro quando l’arte diventa universale e non regionalistica.

Come identifichi un eccesso di sardità?

Per semplificare, banalizzando: attori sardi con cadenza e pittori che fanno solo immagini sarde… ma mi spiace anche il rinnegamento delle origini. Media res: via di mezzo, giusto compromesso.
Mi piacciono artisti come Pinuccio Sciola, Maria Carta e Paolo Fresu perché sono diventati internazionali pur nel loro grande omaggio alla terra sarda. Ecco, mi piace che avvenga questo come è avvenuto per Gramsci, Lussu, Satta, Dessì, Mannuzzu e nell’economia Soru e Grauso.

Ci sono due donne che sono state fondamentali nella tua vita, come accade a molti: tua madre e tua nonna.

Nonna Palma è la mia icona di libertà femminile, sfrontatezza, orgoglio, femminilità: giovanissima scappa da Nebida e a Cagliari conosce Emilio che ha 27 anni più di lei e lo sposa. Lui è figlio di Giovanni Balletto, discendente dalla famiglia genovese che commerciava il grano in Sardegna: è lui che ha aperto il famoso pastificio nel 1914. Insomma erano ricchissimi.

Ci pensi mai a cosa penserebbe della donna che sei diventata? Io penso spesso all’opinione dei miei nonni che di me han conosciuto solo la fanciullezza.

Credo che a nonna Palma non gliene fregasse molto e non gliene sarebbe fregato perché lei pensava solo a sé stessa: lei era una diva! Ha pensato pochissimo perfino ai suoi figli dal momento che alla morte di mio nonno ha girato tutta l’Italia spesso senza loro tra i piedi. Ha fatto una vita agiata e divertente, è andata ai party con gli attori celebri, alle terme… era una nonna molto particolare: parlava solo della sua bellezza ma faceva ridere da pazzi!

Ed era oggettivamente bella?

Sì, molto.

Sua figlia, tua madre Sesella Balletto alla quale somigli in maniera impressionante è stata una famosa pittrice (qui le sue opere)

Mia madre nasce a Cagliari nel 1939, battezzata Maria Giuseppa ma chiamata da sempre “Sesella” da mia nonna Palma. Sesella è la mia ispirazione costante, lei è al di fuori dei confini spazio temporali: madre e maestra, madre e figlia, donna di fede e di passioni estreme, pittura che si fa sangue, patimento, estasi, critica, amore. È stata una bambina molto curiosa, leggeva fino a notte tarda, dipingeva dai 5 anni d’età. Ha studiato in collegio ma dal collegio è scappata a 8 anni. Era simpatica, semplice e divertente. Voleva per sé la famiglia che non ha mai avuto: ha avuto sei figli e amato un solo uomo: mio padre Antonello che ha conosciuto a scuola. Se ne fregava dei beni materiali: amava Dio e Gesù ma ha cambiato tante religioni approfondendole tutte.

Mio padre Antonello era il figlio del libraio che ha fondato la famosa Libreria Cocco a Cagliari nel 1929, era intelligente e colto, molto sagace. I miei hanno avuto un rapporto difficile perché papà era freddo e duro. Io gli somiglio tantissimo perché ho il suo stesso cinismo e la sua identica ironia, sono irriverente come lui.

Credi che questa famiglia da romanzo, da fiction di Raiuno abbia tuttora una particolare influenza sulla tua arte o è stato solo il punto di partenza?

Totale. Ne sono intrisa: spesso i confini interiori tra me e mia madre si perdono, io sono lei, lei è dentro di me ma a differenza sua io ho molta più durezza, io sono cinica.

Come si è tradotto in arte, nella tua arte, il lutto per una presenza così determinante del tuo essere?

Lei mi guida, è dentro, mi conforta, mi spinge a diventare una vera artista nell’essenza più profonda: non necessariamente che si esplichi in qualcosa di concreto, mi spiego? Questa influenza si concretizza in termini di lettura della vita perché io la mia forma d’arte non l’ho ancora scelta: non sono un’attrice o una cantante o una scrittrice o una pittrice, mi esprimo nelle forme a disposizione.
Potrei scegliere anche di non fare nulla ma certo è che spesso ho delle urgenze narrative e le traduco in immagini, suoni, scrittura o altro di più materico e pratico.

Gli uomini della tua vita d’artista sono due: Fabio Marceddu e Antonello Murgia, ossia le due anime di “Teatro dallarmadio”, giusto?

Sì, assolutamente ma lo è anche Pasquale, il mio uomo che è sostegno reale anche nell’arte: mi ascolta, mi vive, mi sente profondamente e mi sostiene, si occupa della mia felicità.

Sembra quasi che tu sia il bellissimo risultato di almeno 5 persone: Palma, Sesella, Fabio, Antonello e Pasquale. Ma senza uno, due o senza tutti e cinque di loro chi/cosa/dove saresti?

Aggiungo alla lista mio padre, i miei fratelli e le mie sorelle e dico: non lo so davvero.

Ma sì, d’altra parte chi se ne importa? Vai benissimo così “Crstiana”!

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