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Ecco a voi – Natale a Casa Ferai 6 maggio 2023

Ferai Teatro di Ga’ e Andrea Ibba Monni presenta “Ecco a voi – terza serata – Natale a Casa Ferai”, uno spettacolo comico di Andrea Ibba Monni con Francesca Cabiddu e Katia Massa. La serata sarà presentata da Greta Sofia.

Ospiti d’onore: Pina Caicca Doi e Massimiliano Medda che interverranno con due pezzi divertentissimi.

Sabato 6 maggio alle ore 19:00, ingresso con donazione libera e volontaria (no prenotazioni) presso la Silvery Fox Factory, via Dolcetta 12, Cagliari.

La serata a tema feste di Natale è interamente dedicata alla raccolta fondi per rendere il Pride 2023 accessibile alle persone con disabilità grazie ad Arc Cagliari, UnicaLGBT e a tantə amicə sponsor:

  • Sa Stiddiosa Guesthouse di Gadoni mette in palio pernottamento ed escursione a Gadoni per due persone;

  • Wow pizzeria di Pirri offre una cena per due persone;
  • Il Gallo d’Oro mette in palio una cena per due persone sia nella pizzeria di Cagliari che in quella di Quartu Sant’Elena;
  • Keller, beer steack house offre una grigliata mista per 2, 1kg di carne 100% manzo, contornata da chips e verdure grigliate, accompagnata da due birre hells;

  • Manu’s Style parruccheria di Cagliari offre un cestino di prodotti per capelli;
  • Rainbow City di via Torino e Cavò Bistrot nel Corso Vittorio Emanuiele offrono ciasscuno un aperitivo per 2 persone;
  • Spazio Moka mette in palio 3 diverse torte su ordinazione;
  • Archeo Labor offre un tour per Castello a Cagliari
  • Scialandrone una cassa di birre artigianali Rainbow.

E insieme a noi anche: il notaio Andrea Oro e la notaia Ilenia Cugis; la drag queen Pharaona Clefertiti Goggi; Miss Frociarola 2022 Elisabetta Randaccio; La Professoressa Maria Gabriella Cotza; Giannina Giannelli; Lisetta Fragu; Sangria e Paella.

Durata: 120 minuti.

Greta Sofia è una “Diva” con “Furore”

Diva” è un monologo comico incentrato sul desiderio di Greta Sofia di mettere in scena uno spettacolo in drag dal titolo “Greta Sofia Show”. Lo spettacolo, adatto a tutte le età è un soliloquio che mette in evidenza tutte le insicurezze della protagonista e i fatti che le hanno segnato la vita, in un vortice di ambizioni, tentazioni, opinioni e tantissime risate.

Durata: 65 minuti.

Furore è uno spettacolo V.M.18 che parla di sesso, sesso e ancora sesso, abbattendo i tabù, mostrando le ipocrisie e smontando i pregiudizi e i falsi miti. Greta Sofia è stata appena lasciata dal suo ragazzo e al fine di placare questo “Furore” decide di aprire una rubrica dispensando consigli ironici sprezzanti e politicamente scorretti rispondendo alle domande che le sono state rivolte in precedenza e a quelle che le verranno rivolte dal vivo da parte del pubblico presente.

Durata: 100 minuti.

Gli spettacoli scritti, diretti e interpretati da Andrea Ibba Monni vanno in scena il 14, 15, 16, 21, 22, 23 aprile alle ore 19:30 (“Diva”) e alle ore 21:30 (“Furore”) presso la Silvery Fox Factory, via Dolcetta 12, Cagliari.

Prenotazioni WhatsApp/Telegram/SMS: 3755789748

Biglietto unico per ogni spettacolo: 10 euro

Luci e musiche: Ga’

Trucco di Andrea Ibba Monni (e si vede!)

Foto della locandina di Roberta Plaisant

 

 

Ecco a voi – seconda serata

Ferai Teatro di Ga’ e Andrea Ibba Monni presenta “Ecco a voi – prima serata”, uno spettacolo comico di Andrea Ibba Monni con Francesca Cabiddu e Katia Massa.

Ospiti d’onore: Simeone Latini con una lezione di casteddaio (ci sarà da ridere) e i Kantidos (con un mini concerto).

Simeone Latini - Actor - e-TALENTA

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 3 persone

Sabato 18 marzo ore 18:30, ingresso con donazione libera e volontaria (no prenotazioni) presso la Silvery Fox Factory, via Dolcetta 12, Cagliari.

La serata è interamente dedicata alla raccolta fondi per rendere il Pride 2023 accessibile alle persone con disabilità grazie ad Arc Cagliari, UnicaLGBT e a tantə amicə sponsor:

– Is Molentis OCR e functional training;

– Lux Photo Art di Claudia Giuseppetti;

– Manu’s Style;

– Porky’s sexy shop

– Archeo Labor

Durante la serata saranno messi in palio i premi offerti dagli sponsor oltre che due biglietti per la nuova edizione di “Hole of fame” firmata da Ga’: “United States of Alexa” (qui maggiori info).

E insieme a noi anche: il notaio Andrea Oro e la notaia Ilenia Cugis; la drag queen Pharaona Clefertiti Goggi; Miss Frociarola 2022 Elisabetta Randaccio; La Professoressa Maria Gabriella Cotza; Giannina Giannelli; Lisetta Fragu; Angiulleddu; Kelly Missing; Marcella Marcella.

Durata: 90 minuti.

Ferai: Tutti pazzi per la TV – Christmas edition

Sabato 11, domenica 12, sabato 18 e domenica 19 dicembre alle ore 19:00 va in scena “Tutti pazzi per la TV – Christmas edition”, scritto, diretto e interpretato da Ilenia Cugis, Giulia Maoddi, Andrea Mura, da un’idea di Andrea Ibba Monni, prodotto da Ferai Teatro.
Ecco la trama:
Anno 2025: è la notte di Natale e finalmente Valeria Marini è Presidentessa della Repubblica, Maria de Filippi è Premier e Giulia de Lellis Ministra della Pubblica Istruzione. A Cagliari la famiglia composta da nonna Nicoletta, suo figlio Corrado e sua nipote Sandra si prepara a festeggiare il Natale davanti alla televisione ma un blackout energetico sconvolge i loro piani.
Biglietto unico: 10 euro
Prenotazione obbligatoria (WhatsApp, Telegram o SMS) al 3755789748 – [email protected]
Silvery Fox Factory: via Dolcetta 12, Cagliari
scritto, diretto e interpretato da: Ilenia Cugis, Giulia Maoddi, Andrea Mura
stage manager e tecnica audio-luci: Claudia Congiu
idea, supervisione al testo e alla regia: Andrea Ibba Monni
grafica: Andrea Oro
organizzazione e produzione: Ferai Teatro

“La Venere Storpia” e “Favolosità” di Ferai Teatro

Finalmente debuttano i nuovissimi spettacoli di Ferai Teatro! Per tutti il mese di novembre alla Silvery Fox Factory in via Dolcetta 12, Cagliari, ogni giovedì, sabato e domenica, ci sarà da ridere:
  • alle ore 19:00 Francesca Cabiddu sarà la protagonista dei monologhi al femminile de “La Venere storpia” – l’attrice diretta da Andrea Ibba Monni reciterà cinque monologhi che vedono protagoniste cinque donne eccezionali: la musa di Dante Alighieri Beatrice Portinari, l’irriverente Oriana Fallaci, la comica Luciana Littizzetto, la meravigliosa Franca Rame e l’indimenticabile Anna Marchesini (durata 70 minuti)
  • alle ore 21:00 va in scena “Favolosità”, una commedia divertentissima sul mondo LGBT+ scritta, diretta e interpretata da Andrea Ibba Monni nel ruolo della drag queen Greta Sofia, insieme a Andrea Mura nei panni di Baby J, Andrea Oro che interpreta Virginia Gaggi e Davide Sitzia che recita il ruolo della drag queen Rainbow (durata 90 minuti).
Biglietto per un singolo spettacolo: 10€
Biglietto per due spettacoli nella stessa sera: 15€
Il biglietto si può prenotare a: [email protected] – 3755789748 (e ritirare entro dieci minuti prima dell’orario di inizio dello dello spettacolo presso la factory).

Le voci degli artisti: Andrea Andrillo (di Andrea Ibba Monni)

Come posso essere imparziale nel parlare di Andrea Andrillo? Non posso, non voglio. Lo amo e lo ama chiunque lo conosca e chi non lo conosce non ha idea di che sfortuna lo ha colpito. Artisticamente si può rimediare iscrivendosi al suo canale YouTube (CLICCA QUI) umanamente basta andare a una sua serata, perché come i più grandi, i grandissimi, lui è avvicinabilissimo. Un difetto ce l’ha ed è imperdonabile: si sottovaluta troppo.

ANDREA IBBA MONNI – Oltre che a livello umano io ti stimo tanto dal punto di vista professionale e come scriverò nell’intervista sei uno dei pochi intervistati con cui mi sento davvero a mio agio perché ti vivo molto vero, pulsante nel panorama musicale. Quindi le domande arrivano da un fan oltre che da un collega artista, sappilo. La prima domanda è una richiesta d’aiuto: siccome non voglio farti alcun santino cosa posso scrivere di Andrea Andrillo per chi non ti dovesse conoscere …ma anche per chi ti conosce solo musicalmente?

ANDREA ANDRILLO – Mi presento, tecnicamente sono un cantautore, ma soprattutto credo di essere un cantastorie.

Quali storie canti? Come le scegli o come “arrivano”?

Me lo sono chiesto diverse volte.. credo che in questa mia maturità a tratti tormentata avessi bisogno di cantare le persone “insufficienti”. Ho cantato l’amore di un padre sordo che non può cantare per sua figlia; ho cantato le persone ormai prive di una lingua che non riescono a comunicare in un mondo che affonda in Atlantide prima della pioggia. Ho cantato l’angoscia del migrante in Deserti di sale tutto questo in realtà è parte di un quadro più ampio, che col tempo si sta delineando. Forse sto solo cantando le storie dei nostri giorni, compresa la mia.

Qual è la tua storia? Immagino non abbia voglia di raccontarmela ma puoi dirmi almeno se è una storia a lieto fine? È una commedia? Una tragedia?

Il lieto fine, che io sappia, esiste solo se si impara a morire serenamente. La mia storia fin qui è stata una ricerca, però. A fasi alterne, con clamorose cadute, interruzioni nel percorso, problemi fisici che sembravano di volta in volta sempre più pesanti, addii e “ups, sono tornato” …
Nel frattempo ho capito che la mia ricerca come cantante – e come musicista in senso più ampio – era in realtà un bisogno di far chiarezza, di scoprire ciò che mancava.
E così “cercando la voce”, cercando il suono della mia voce, poco alla volta ho trovato me stesso. E mi sono accorto che non si è trattato di una ricerca tecnica, quanto di una ricerca spirituale. Ora, a ben 50 anni, debuttante a 49, con già due dischi da solista alle spalle in due anni, mi appresto a chiudere un cerchio .. e forse a iniziare un’altra fase del viaggio
… almeno credo. Il futuro non è scritto.. non del tutto: è un documentario. Tipo quelli con gli orsi in letargo, le anatre ferite dai cacciatori, il sole che sorge, la pioggia che tempesta la foresta e le formiche che balzano indaffarate da una parte all’altra per non affogare.

Debuttante a 49 anni?

Il mio primo disco è del 2018, otto luglio, il giorno del mio 49simo compleanno. Andrillo nasce fra il 2013 e il 2015 .. piano piano si definisce nel suo stile, mi salva la pelle, perché Andrillo è uno spiritello stronzetto che a volte fa cose belle; e a 49 anni debutta in grande stile. Roba mica da poco eh!

Andrillo” perché? Cosa vuol dire?

Solo un nomignolo che casualmente mi è stato affibbiato da un collega quando lavoravo nel nord Sardegna. Arrivato a Cagliari, convinto che non avrei mai più suonato o scritto canzoni, mi sono dedicato alla musica altrui. “Andrillo” nasce quindi come speaker per una radio web, Radio Level One, nel .. boh? 2011? Non me lo ricordo più. Mi serviva un nome che non fosse il mio nome vero, perché avevo appena iniziato un nuovo lavoro e non sapevo se fosse saggio mischiare la mia vita artistica e privata con la vita lavorativa. Mi è tornato in mente il nomignolo e l’ho usato. Faceva e fa ridere. Ma se lo ricordano tutti. Poi la cosa curiosa è stato ricevere messaggi da alcuni “Andrillo” (veri!) dal Brasile.. ma non sono mai riuscito a spiegare che non eravamo cugini lontani, perché non parlo portoghese e loro non capivano l’inglese. E così la tribù, almeno virtualmente, è diventata subito cosmopolita.

Avevi smesso di suonare?

È successo molte volte. Il mio non è stato un percorso lineare. Non sono mai stato un professionista. Le band di cui facevo parte, il rock elettrico, i due dischi delle mie vite precedenti a questa..i fallimenti, i successi, le pause …tutto è stato prezioso. I fallimenti sono stati i miei più grandi maestri. Ne avrei anche fatto a meno, ma ora che sono me, che non sto in una band e che sono totalmente responsabile di tutto ciò che faccio, mi accorgo che nel rapporto col pubblico, nel mio pormi di fronte alla musica con rispetto, tutto ciò che ho vissuto è stato davvero prezioso.

Poi ci sono anche state pause “fisiche”, dovuti a problemi vari che non stiamo ad elencare; e pause dovute al lavoro, trasferimenti.. tutto fino a che non ho deciso di fare da solo. La grande conquista: credere in sé stessi al punto di fare da soli. Anche questa è stata una grande conquista per me, per quanto possa sembrare banale dirlo così

Se e quando non suoni cosa fai ma soprattutto come stai?

Non benissimo, lo confesso. Il rapporto col pubblico è come una droga. Le persone che vengono ad abbracciarti, che ti parlano .. è tanta roba. Solo chi sa… sa.

Lavoro, bado ai figli, cerco di star sveglio e non addormentarmi in piedi, perché prima del Covid mi alzavo ogni giorno alle cinque per lavorare… Però poi la gioia di afferrare una intuizione, di mettere l’anima in subbuglio per scrivere un testo, o programmare un concerto.. in questi due anni che mi separano dal primo disco ho fatto decine e decine di concerti. Non vedo l’ora di tornare a farne altrettanti e molti di più.

Cosa fa sì che torni a comporre, a imbracciare la chitarra, a cantare dopo una pausa?

Un bisogno ..fisico. Forse le persone profondamente sole fanno questo, non lo so. Cercare di accarezzare il mondo, accarezzare le persone con ciò che hai dentro. Raccontargli storie, prestargli i tuoi occhi. Le mie non sono canzoni facili e io non sono un autore accomodante, piacione. Ma cerco di costruire attorno a me un mondo di relazioni, di persone che si incontrano. In questi anni ho visto persone speciali che vengono ai concerti, ti stanno vicine.. non è esattamente un pubblico, è una comunità, una bozza di comunità. E io ho bisogno di parlare a loro … e di ascoltare loro.

A proposito di ascolto come affronti il doppio ruolo di padre e artista nei confronti dei tuoi figli? Esiste l’esempio e l’educazione all’arte?

Certo, ma esiste anche l’eterna, atavica conflittualità padre – figli (soprattutto maschi), che fa sì che la musica di papà sia “noiosa”. Però poi quando vedono le persone che mi fanno i complimenti sono felici. Ma farli venire ai concerti.. una impresa! Dopo tutto per loro io non sono magia, io sono papà, quello che gli chiede dei fare i compiti e che gli frigge i sofficini a merenda.. non riescono a vedermi – e chissà se accadrà mai – come quello che è arrivato in città con la chitarra a cantare per noi .. Loro mi sentono cantare in casa, mi vedono con la chitarra che cerco di mettere su un pezzo nuovo.. per loro sono un semplice papà canterino. E va bene così, direi. È nell’ordine delle cose.

Come sei arrivato tu a capire che la musica era il tuo mezzo di comunicazione?

Ho iniziato molto presto, poi ho capito perché. Ho cercato di entrare in un gruppo metal a 15 anni, ma facevo talmente schifo.. poi a 17 ho messo su la mia band. E ho rovinato del tutto la voce. A 19 ho incontrato un Maestro, Bruno Lampis, un baritono che lavorava all’Ente Lirico di Cagliari, cui devo tutto, che mi ha insegnato la tecnica di base, che mi ha salvato la voce. E mi ha detto la famosa frase “cerca il suono”. E io ho cominciato a cercarlo, “come un bambino insegue un aquilone”, mi viene da dire .. E man mano che facevo enormi sacrifici per imparare a cantare mi chiedevo perché lo faccio? E ho capito che volevo parlare con le persone, sentirle vicino. Ma la svolta è arrivata quando non mi sono presentato davanti al pubblico per prendere, ma per dare qualcosa. È stato così che è nato Andrillo. E ho capito che la musica era e sarebbe sempre stata l’unica cosa che davvero alla fine ho fatto bene nella mia vita. Strano no? Anche un po’ romantico se vuoi, ma anche no.. chiaroscuri, come in tutte le vite.

A 15 anni cosa ti ha fatto dire “adesso faccio metal” invece che “adesso faccio danza” oppure “adesso faccio teatro” per esempio? La musica: perché?

Credo – ma lo dico per darmi un tono che “credo”, in realtà ne sono matematicamente certo, che fossi un ragazzino con un sacco di guai. Un ragazzino sostanzialmente solo, complicato, ferito. Credo stessi cercando solo di dire alle persone attorno “Hey, lo sapete che esisto?” E’ capitato che un ottimo gruppo già avviato, i Rod Sacred, con i quali mantengo rapporti di amicizia da allora (!) avessero bisogno di un cantante. Era il 1983 o 1984, Jurassic Drillo, capito ? E ho provato. Se dopo il primo provino mi avessero detto “no” e basta, avrei finito lì. Ma mi hanno detto “no, però torna che non siamo convinti del no”. Ed è cominciato tutto. Poi ho anche fatto teatro con Fueddu e Gestu, una compagnia talmente straordinaria che se stesse a New York sarebbero famosi in tutto il mondo. E però fare l’attore.. non riesco a fare l’attore. Mi spiego meglio: non riesco a interpretare il personaggio. Divento il personaggio. E praticamente non ho filtri, non ho difese. Mi può uccidere questa cosa e non ho intenzione neppure di provarci più.

“Se stesse a New York sarebbero famosi in tutto il mondo” e Andrillo invece?

Boh, avrebbe fatto lo stesso cammino frastagliato, ma come l’Andrillo che sta qui – che ha peraltro scelto di stare qui, dopo aver pure vissuto all’estero e persino un po’ a NY – come l’Andrillo che sta qui avrebbe finito con il ritenere più importante il cammino dell’anima al mero guadagno materiale o alla popolarità fine a se stessa.
In questi due anni ho visto il mio pubblico crescere esponenzialmente… ma non sono numeri. Sono persone, sono cammini che si incrociano. Non credo si possa parlare di “popolarità” in questi termini. Chi se ne frega di essere “popolare”. A me interessa questo calore, questo dialogo mai interrotto. E comunque se vuoi diventare famoso, vai, ti spogli alla stazione dei treni e fai l’elicottero per i passanti. Il tuo quarto d’ora di notorietà è assicurato!

Se ti dico che mi fa incazzare che tu non sia conosciuto come credo meriti cosa mi rispondi?

Che è un bel complimento, che ti fa male arrabbiarti per cose senza importanza e che il terzo disco sarà una figata assurda che ti lascerà di sasso e che va bene così.

Andrea Ibba Monni

La paura è un peccato – Ferai Pride 2020

Ferai Teatro presenta “La Paura è un peccato” scritto, prodotto e diretto da Ga&Andrea Ibba Monni per Queeresima e Sardegna Pride 2020

Tra venerdì 26 e domenica 28 giugno verranno messi on line qui otto video:

“Tutti i colori dell’arcobaleno”;

“Un milione di ragioni”;

“Ci vediamo al Pride” (diviso in tre parti);

“Quando la notte è più lunga di qualsiasi giorno”;

“È il rumore di una forcina caduta per terra”;

“Marcire o marciare”.

Un excursus narrativo sulle ragioni del Pride, sulle origini e i perché, sulle storie di cronaca dall’Omocausto ai giorni nostri. Ma ci sarà spazio anche per i sorrisi e le risate grazie alla satira e alla comicità.

Un progetto no-budget nato dalla voglia di dare un piccolo ma onesto contributo anche quest’anno, in un periodo in cui i teatri erano chiusi per il lockdown ma la voglia di esprimersi era comunque tanta.

“Tutti i colori dell’arcobaleno” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attore: Andrea Ibba Monni; montaggio di Andrea Oro.

“Un milione di ragioni” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attore: Andrea Ibba Monni, cantante: Manuela Angius; canzone: “Million reasons” (di Lady Gaga, Hilary Lindsey e Mark Ronson); montaggio di Ga’.

“Ci vediamo al Pride!” (diviso in tre parti) Autori e attori: Andrea Ibba Monni e Silvia Saba; montaggio di Ga’.

“Quando la notte è più lunga di qualsiasi giorno” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attori: Andrea Ibba Monni e Giorgia Barracu; montaggio di Ga’.

“È il rumore di una forcina caduta per terra” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attore: Andrea Ibba Monni; montaggio di Andrea Oro.

“Marcire o marciare” Autori: Ga’ e Andrea Ibba Monni; attori: Francesca Cabiddu, Ilaria Traverso, Andrea Oro e Andrea Ibba Monni; cantante e musicista: Andrea Spiga; canzone: “Can’t help falling in love” (di George Weiss, Hugo Peretti e Luigi Creatore); montaggio di Andrea Oro.

Ringraziamo: Giulia Maoddi, Marco Carrus, Consuelo Perra, Alessandro Murtas, Andrea Mura, Roberta Plaisant, Claudia Congiu, Roberta Mossa, Ilenia Cugis, Davide Sitzia, Gianmarco Loi e tutt* coloro che ogni giorno vivono per rendere il mondo un posto migliore.

Le voci degli artisti: Alessandro Pani (di Andrea Ibba Monni)

Lo conosco da quando lo chiamavano “Sly” perché se lo guardi bene ha i lineamenti alla Sylvester Stallone (prima del botox): era la metà degli anni ’90, lui era un giovanissimo uomo e io un vecchissimo bambino fratello di sue due amiche dell’epoca. Si avvicinò in quegli anni al mondo del teatro e mai avrei immaginato di rivederlo quasi vent’anni dopo sul set di C.S.I. Cagliari (qui una foto emblematica della collaborazione), web serie che ha scritto e diretto con quel mostro di bravura che è Filippo Salaris col quale dirige la Compagnia Artisti Fuori Posto (e con il link al loro sito e con tutto quest’articolo mando un saluto a chi dice che i teatranti non si supportano a vicenda). Alessandro Pani dovevo intervistarlo per una serie di ragioni che capirete nell’intervista che segue. Buon divertimento!

ANDREA IBBA MONNI: Qual è il primo ricordo che hai di me?

ALESSANDRO PANI: Io mi ricordo di te all’età di 12 anni, possibile? Quando uscivo nello stesso gruppo di amici con tue sorelle: mi ricordo che stavi un po’ per conto tuo e pensavo ti stessimo un po’ sul culo.

No, ero molto molto timido (come ora ma non riuscivo a nasconderlo) e sapevo che ovviamente loro non mi volevano li tra voi!

Qualche volta ricordo di essere anche venuto a casa vostra perché tua mamma aveva preso delle poesie che avevo scritto per farle leggere a un suo amico poeta, Bruno Rombi. Lui aveva letto le mie poesie e mi aveva detto che secondo lui ero gay. Io gli dissi di no, che quelle cose che avevo scritto intendevano dire altro, ma lui si era fermato alla prima interpretazione che gli era venuta in mente e mi disse “non ti devi vergognare“. E io “ma porcaputt… vabbè hai ragione te“. 

Quando tu chiedi a qualcuno di leggere le tue poesie e lui pretende di leggerti la vita. Olè!

Tra l’altro io non sapevo che al tempo tu facessi o ti stessi interessando al teatro, ti ho rincontrato molto tempo dopo ai Cada Die per il concorso Teatro in Corto al quale avevamo partecipato entrambi.

La prima cosa di Ferai che non era ancora Ferai: io, Ga’ e una danzatrice dell’Isola di Pasqua. Avevamo scelto il nome Make Make Teatro perché ci sembrava una goliardata avere il nome di una divinità pasquense raffigurata con un membro enorme. Finché il presentatore non ci annunciò col nome letto all’inglese, che delusione! Comunque che ne è stato di Alessandro Pani il poeta?

Scriveva per combattere la sfiga e l’inadeguatezza. Una volta che ha capito cosa voleva fare, Alessandro il poeta ha smesso di poetare. Adesso scrivo prettamente sceneggiature per teatro e cinema, mi trovo meglio, mi diverto di più. La poesia è troppo struggente. e io ero di quelli Sturm und Drang. Passavo molto tempo a leggere in quel periodo, leggevo circa 70 o 80 libri all’anno. e scrivevo molto, ma lo sfogo nella scrittura in realtà alimentava lati del mio carattere che mi portavano ad essere cupo, di malumore e talvolta rabbioso. E da quartese che ha fatto molta vita di strada da ragazzino avevo anche una certa facilità a venire alle mani. Ah, che ricordi le risse in viale Colombo, ai giardini di Via Cagliari e in via Brigata Sassari!

Perché hai scelto di fare teatro?

Credo di aver sempre saputo di voler fare teatro. So che è brutto da dire, ma ho iniziato con la recita delle medie, in via Tiziano: decisi che da grande avrei fatto quello. Dopo il diploma compravo sempre l’Unione Sarda per trovare una scuola o dei corsi di teatro. All’epoca non c’era internet e le informazioni non le si trovava facilmente e se non conoscevi qualcuno che faceva già un corso o conosceva una compagnia non sapevi come muoverti Trovai un annuncio dell’Akroama e decisi di iscrivermi. Era il 1998. Da lì non ho mai smesso. Purtroppo non potevo permettermi di spendere molto e dovevo comunque lavorare, facevo il programmatore informatico, quindi prima di vivere di questo mestiere è passato tanto tempo. Solo nel 2007 sono riuscito a mollare tutto ed a dedicarmi alla recitazione come professione

Come nasce il progetto Artisti Fuori Posto e come vi siete scelti?

Artisti Fuori Posto nasce formalmente nel 2011 ma in realtà con il buon Sergio Cugusi ne parlavamo già dal 2008 di tirare su una compagnia Eravamo ancora legati al Riverrun, entrambi lavoravamo lì, poi nel 2010 siamo stati gentilmente invitati a farci da parte e ci siamo messi all’opera per tirare su AFP. 

Il terzo giorno

Filippo è arrivato nemmeno un anno dopo, per andare in scena con me nello spettacolo “Il terzo giorno”. Con Filippo ci siamo conosciuti nel 2008, abbiamo frequentato insieme un corso regionale per attori professionisti e uno stage nell’accademia dell’Arte di Arezzo. Abbiamo capito che eravamo sulla stessa linea e sapevamo che avremmo sicuramente fatto delle cose assieme. Infatti ci siamo ritrovati poi nel 2010 ad Olbia per lo spettacolo sulla boxe che si chiamava “Fuori i secondi” dove interpretavamo due pugili che, dopo essere cresciuti insieme come amici e come atleti, si ritrovano alla fine per un match decisivo dove se le danno di santa ragione.

Io lo so bene e ho le mie motivazioni, tu invece perché hai scelto di fare una compagnia da zero invece che provare a lavorare con/per altre realtà già esistenti?

Il nome Artisti Fuori Posto non è una scelta casuale, nasce proprio dal fatto che con gli altri ci siamo sempre sentiti un po’ fuori posto. Sia io, Sergio e Filippo (ma anche gli altri che sono venuto qualche anno dopo Francesca Saba e Piero Murenu) abbiamo sempre avuto qualche difficoltà a sottostare a quelle che erano le scelte artistiche, le abitudini e i comportamenti del mondo del teatro con il quale fino ad allora avevamo avuto a che fare (eccezion fatta per il Riverrun dei primi anni). Io personalmente non tolleravo il fatto che come artisti spesso le compagnie ci pagassero con mesi di ritardo e nessuno dei miei colleghi attori si lamentasse mai. Io ci mettevo sempre la faccia, mettevo in piedi litigi furibondi (da buon quartese) mentre molti dei colleghi attori subivano certe angherie borbottando alle spalle ma sfoderando poi sorrisi smaglianti davanti alle persone che avevano criticato fino a poco prima.

Artisticamente parlando poi avevamo bisogno di fare anche cose che arrivavano da una urgenza personale (quantunque potessero essere anche cazzate, roba demenziale) mentre in molte compagnie ti ritrovavi a dover sottostare ad una agenda di argomenti e tematiche decisa da qualcun altro, spesso dalla politica. e io personalmente avevo altre direzioni da prendere.

Ti va di parlarne di questo ambiente teatrale sardo? Cosa salvi?

Boh personalmente ho visto tante cose belle prodotte qui in Sardegna, ma anche tante cose molto brutte che non avevano la dignità di essere messe in scena neppure sotto un ponte. Credo che spesso ci si ritrovi a dover cercare di arrivare a fine mese, di far fronte alle spese e a rincorrere i soldi e non si abbia il tempo di fermarsi un attimo e pensare a quello che si sta facendo. Molti spettacoli brutti che ho visto erano tra quelli che dovevano rispondere a temi dettati dall’agenda politica del momento e dovevano innanzitutto rispondere a quelle necessità piuttosto che all’urgenza degli artisti. Credo che dovremmo avere tutti noi artisti la possibilità di avere più tempo per i nostri spettacoli, per le nostre creazioni, molte volte le buone idee sono rovinate dalla fretta e dalla mancanza di risorse.

Eppure basterebbe essere buoni artisti per sposare necessità altrui e non svilire l’arte teatrale, no? O si può fare buon teatro solo se si risponde a una propria necessità?

Per come la vedo io una creazione artistica deve rispondere ad una urgenza dell’artista (di qualunque tipo essa sia) che poi spesso tende a convergere in un sentire comune delle persone. L’artista spesso riesce a dare voce e forma a ciò che nelle persone è una sensazione indefinita. poi può anche capitare che una cosa ci sembra un’urgenza ma in realtà dovevamo solo andare in bagno e infatti esce una cagata.

Qual è lo spettacolo di AFP che rifaresti ora e per sempre se dipendesse solo da te?

La nostra opera prima: “Il terzo giorno(qui il trailer) anzi, appena possibile riprogrammiamo una replica.

Era proprio bello. Come mai quello spettacolo? 

Mi piaceva il discorso che si fa sulle rivoluzioni, sull’idea che abbiamo di andare contro il sistema, di essere dei ribelli e invece il sistema ci riassorbe come se niente fosse. Era un’idea nata dal fatto che durante l’età giovanile che va dalle superiori ai 24 anni capitava di vedere gente, che prima era assolutamente l’emblema della refrattarietà alle regole, diventare modelli di integrazione nel tessuto sociale. Prima tutti stracciati, sesso droga e rock and roll, e poi giacca e cravatta e lavoro sicuro in banca. Sta roba mi faceva uscire di testa!

Qual è e quale sarà il ruolo del laboratorio teatrale a Cagliari nel 2020?

A me piacerebbe trovare il modo per far diventare il laboratorio teatrale davvero ciò che dice la parola stessa: un laboratorio! Dove si lavora e si fa ricerca, per molto più di quello che possono essere i due incontri settimanali (nel migliore dei casi). Purtroppo incontro sempre meno allievi che vogliono fare il mestiere dell’attore, mentre quando ho iniziato io eravamo in tanti e anche molto agguerriti (non tra di noi) e ci siamo conquistati la professione con le unghie e con i denti.

Vorrei invece portarli più ad una dimensione di creazione collettiva. Era molto interessante quelle che avete fatto voi ad esempio in estate: il Baratto Teatrale secondo me è una dimensione molto più utile anche se non sempre è sostenibile economicamente: molte volte si basa tutto sulla disponibilità degli attori e dei docenti, parliamoci chiaro, non tutti sono disponibili a dedicare tutto quel tempo agli altri e molte volte senza un euro in cambio.

Come mai non c’è più la volontà di fare il mestiere dell’attore e soprattutto manca quel senso di lotta?

Molti si arrendono alle prime difficoltà, alla prospettiva di fare un lavoro che non rende economicamente. Ma come dici tu quello che a volta vedo mancare è la voglia di lottare. Ai miei allievi chiedo sempre “Chi di voi vuole fare l’attore o l’attrice professionista?” Quando mi sento rispondere “io credo di si” rispondo sempre “questa è una domanda a cui puoi rispondere solo SI o NO, non esistono vie di mezzo. Se la tua risposta è ‘credo di si’ per me è un NO” Perché se vuoi fare questa strada, come tu ben sai, devi fare una scelta e portarla in fondo nonostante le difficoltà. E sono quasi sempre solo difficoltà. La mentalità è “ma perché mi devo rompere il cazzo?” è figlia di questi tempi dove tutto è già pronto, è già servito. Troppo severo?

Non porta soldi, non porta fama… perché farlo allora?

Per ognuno è diversa. Posso dirti quali erano le mie di motivazioni. Ho lavorato per 7 anni come programmatore informatico in diverse aziende e tutte le mattine mi alzavo maledicendo il creato. Non volevo più svegliarmi arrabbiato la mattina. Da quando faccio l’attore che è ciò che ho scelto di fare e che mi piace (ma poteva essere anche l’imbianchino o lo spazzino) mi sveglio e non vedo l’ora di progettare, creare, fare. Odio i giorni festivi. Del resto fare arte è un lavoro full time senza giorni liberi.

Andrea Ibba Monni

Teatro ai tempi di Coronavirus: Artisti Fuori Posto | Cagliari ...

Gli Artisti Fuori Posto

da sinistra: Filippo Salaris, Alessandro Pani, Piero Murenu, Francesca Saba, Sergio Cugusi

Le voci degli artisti: Matteo Sedda (di Andrea Ibba Monni)

DISCLAIMER – Il sottoscritto ha ripulito questa intervista da tutti i “penso che”, “se posso essere sincero”, “credo che”, “la mia opinione personale è che”, che l’intervistato ha premesso praticamente ad ogni risposta. Ci tengo a specificarlo perché da subito sappiate che è sinceramente e genuinamente umile. L’esempio del fatto che chi più fa la voce grossa meno vale e quanto più vivi e conosci tanto più ti rendi conto che non avrai mai la verità in tasca. Godetevelo.

Mount Olympus/24h — Matteo Sedda

Incrocio per la prima volta Matteo Sedda un paio di vite fa perché entrambi bazzicavamo quel vivaio provinciale che era la comunity LGBT cagliaritana ma non diventiamo mai amici, non ci incrociamo mai davvero. Poi mentre io scelgo di passare anche i fine settimana a lavorare a teatro (o comunque a vivere una vita alternativa alla discoteca del sabato sera e ai resoconti della domenica) lui vince a mani bassissime un concorso per Drag Queen e se ne va a Milano, fallisce in diretta su Canale 5 un provino ad “Amici” e sparisce dal mio radar per anni. Lo ritrovo sui social, sembra diverso, qualcosa è cambiato: scoprirò poi che stava iniziando a vivere davvero. Inizia a lavorare con nomi importanti e gli scrivo che da artista e da sardo mi sento orgoglioso, rappresentato, lui potrebbe tirarsela da morire ma non lo fa: abbraccia virtualmente la mia missiva e iniziamo a diventare buoni conoscenti. Appena possibile ci incontriamo, ha due occhi pazzeschi che trasmettono solo cose belle, a me viene solo voglia di abbracciarlo. Lo invito a vedere Ga’ in “Eros Nero” e viene a vederlo, mi ringrazia. Poi parte, torna e ci rivediamo ancora: i suoi occhi sempre più pazzeschi, la voglia di abbracciarlo sempre più grande. Vado a vedere il suo “The generosity of Dorcas”, le mie aspettative erano bassissime, non volevo restarci male ma a fine spettacolo mi fiondo subito in camerino e lo trovo da solo, madido di sudore, bellissimo, sfatto, iconico e dolorante, fa stretching per alleviare i dolori dati da tanto sforzo. Mi scuso dell’invasione, lui mi accoglie con due occhi ancora più pazzeschi, non lo abbraccio perché potrei romperlo stavolta tanta è la gratitudine che provo: su quel palco ha dato tanto, forse tutto.

Saprà queste cose solo quando le leggerà in questa intervista. Eccola, finalmente:

L'artiste belge Matteo Sedda évoque sa séropositivité à travers la ...

ANDREA IBBA MONNI: Perché non vivi in Italia?

MATTEO SEDDA: Ho lasciato l’Italia 4 anni fa per lavoro e adesso vivo in Belgio, a Bruxelles dove si possono incontrare diverse realtà e quindi opportunità, migliori rispetto all’Italia.

Come mai proprio Belgio, Bruxelles?

Lavoro con la compagnia Troubleyn di Jan Fabre che ha la sede ad Anversa. Bruxelles si trova a circa 30 min da Anversa e ho scelto di trasferirmi a Bruxelles perché e’ una città vivissima e fantastica al contrario di Anversa, soprattutto per quanto riguarda i giovani. Ho lasciato Cagliari per andare a Milano, a studiare alla Dancehaus della Beltrami e subito dopo il diploma ho trovato lavoro da Fabre. Vorrei pero’ tornare in Italia, mi manca tantissimo ma al momento mi trovo bene a Bruxelles dove mi sono fatto degli amici che ormai sono la mia famiglia. Ovviamente non potranno mai sostituire i vecchi amici.

L’Italia è matrigna o semplicemente ci sono poche opportunità? Non ti si danno le opportunità che meriti o non ci sono proprio opportunità per nessuno?

Ce ne sono pochissime! Tantissimi talenti ma poco lavoro; quando c’è molte è quasi sempre in mano alle stesse persone ed è un peccato. Penso gli italiani siano tra i migliori performer (attori, danzatori, cantanti) che abbiamo, basta guardarsi indietro, cioè alla cultura e al passato dell’Italia e degli italiani.

Dove e come si incontrano danza e teatro ossia il corpo e l’interpretazione attraverso la fisicità?

Si incontrano nel “credere”. Per i religiosi è la fede, no? La fede può diventare intenzione: se tu credi in quello che fai e quindi fai quello che credi, puoi veramente arrivare dove vuoi: questa energia che si propaga in tutto il corpo e in tutta la mente ti rende un Dio. Ecco dove allora si incontrano danza, corpo, interpretazione. Ovviamente nel nostro mondo serve anche un pizzico di ego.

L’arte è un atto di fede?

Sì, per fortuna ma anche purtroppo: l’arte a volte ci mangia, ci consuma e soprattutto in questo periodo di difficoltà ne risentiamo.

Pandemie globali a parte, quando accade che l’arte ci faccia del male?

Un esempio è quando lavoriamo gratis o quando seguiamo dei maestri che magari non dovremmo seguire: ci lasciamo mangiare da loro ma amiamo talmente tanto quello che facciamo che diventiamo ciechi. Ecco fede e amore.

Come distingui un vero Maestro da un cattivo Maestro o da un ciarlatano?

Bella domanda… Sicuramente un cattivo Maestro è quello che ti tiene in gabbia tutto per sé e non ti fa esplorare il mondo, gli altri insegnamenti. Bisogna stare attenti al maestro che è pieno di ego, che nell’allievo vede solo se stesso, vede solo il suo bene e non il bene del suo allievo. È sicuramente difficile notarlo sia per i genitori che non hanno mai fatto parte di questo mondo che per i giovanissimi. Insomma io non penso che basti un attestato o un diploma per essere un bravo maestro: devi esserlo dalla nascita, insegnare è un dono. Ci sono tanti bravi performer che non sanno insegnare e tanti bravissimi maestri che magari non sono ottimi nel performare.

Qual è stato il momento che ti ha segnato artisticamente? Quella situazione che ti ha fatto maturare, capire meglio te, l’arte, l’arte dentro di te e e il tuo essere dentro l’arte?

Quando ho scoperto di essere HIV positivo ho potuto comunicarlo attraverso l’arte: il teatro è diventato una necessità di vita o di morte. Sai che mai dovessi finire di fare teatro sarei contento?

Tu sei pazzo!

È che ho raggiunto il motivo principale, ho risposto alla mia domanda: “perché lo fai: perché fai teatro?”

Giuro che non volevo chiedertelo ma adesso sono curioso. Qual è la risposta?

Il teatro mi fa riconnettere con il passato, mi fa tornare a quando ero bambino e allo stesso modo mi proietta verso il futuro. Quando ho scoperto di essere HIV positivo mi sono riconnesso con la mia parte infantile in tutti i suoi aspetti e la mia voglia di fare teatro è nata quando ero bimbo. Allo stesso tempo sento il tempo come un qualcosa di prezioso e unico perché oggi ci siamo, ma domani non lo sappiamo.

Insomma è cambiata l’urgenza espressiva?

Esatto, mi chiedo sempre “cosa sto facendo adesso? È cosi importante da doverlo fare?” Quando faccio teatro tutti questi quesiti si connettono ed ecco perché cerco anche di trovare dei temi alle performance che faccio che rispecchiano questo modo di vedere le cose.

Come se fosse facile, vero?

È molto difficile da fare visto che devo anche vivere facendo teatro quindi molte volte devo dire di sì a lavori solo perché ho bisogno di mangiare e mi capita di non essere sempre soddisfatto al 100% dal momento che ho ristretto i miei gusti. Quando vado a teatro da spettatore mi annoio facilmente se riconosco che sono finti. LHIV ha cambiato il mio modo di vedere il mondo e quindi il mio modo di vedere il teatro. Per me è tutto connesso… e ritorniamo a bomba al discorso della fede.

Posso scrivere che aver contratto l’HIV sia stata una fortuna in questo senso e credo solo in questo senso?

Assolutamente sì ma è stata una fortuna in ogni senso possibile perché mi ha cambiato la vita in positivo.

Ho visto “The generosity of Dorcas” e ho assistito a uno spettacolo che ha rivelato tanto di te attraverso l’arte del teatrodanza. Ma com’è stato affidare le tue memorie, le tue urgenze, le tue paure, le tue speranze, i tuoi pregiudizi a un’altra persona, Jan Fabre?

Adoro lavorare con Jan perché entro in uno stato fisico e mentale estremo: mi sono fidato ciecamente perché ci conosciamo ormai da tanto e quindi è bellissimo lasciarmi andare insieme a lui. Il problema arriva quando le prove sono finite e iniziano gli spettacoli: ti devi lasciare andare ma senza nessuno, sei da solo con te stesso e a farti compagnia ci sono solo la paura e l’adrenalina. Ma non le devi controllare o distruggere, devono diventare tue amiche, devi prenderle per mano. Solo in quel modo puoi veramente lasciarti andare, soprattutto per quanto riguarda i lavori estremi come quelli di Jan: fisicamente e mentalmente estremi.

Jan Fabre racconta Mount Olympus – To Glorify The Cult of Tragedy ...

Andrea Ibba Monni

Le voci degli allievi: Jessica Mostallino

Jessica Mostallino in una foto durante le prove di “Passioni a Villanova 3”

Ciao Jessica, ti ho conosciuta Assessore alla Cultura del Comune di Assemini e ritrovata mia allieva nella Classe Kammerspiele, ma come ti presento a chi non ti conosce ancora?

Non ho mai saputo bene cosa rispondere a questa domanda, perché0 non sono molto capace a descrivermi: ho sempre paura di peccare di immodestia mentre la realtà è che crescendo ho imparato ad avere maggiore autostima.


È per questo che fai teatro?

Faccio teatro perché ho sempre avuto il “sogno” di recitare, mi sarebbe anche piaciuto fosse la mia professione ma non ci ho creduto abbastanza.

Qual è il rapporto tra cultura e politica?

Ho sempre pensato che ognuno porta ciò che è in quel che fa, nel suo mestiere e nel caso della politica anche: se fai parte di un esecutivo e hai quindi la possibilità di scegliere che cultura offrire al pubblico, le tue scelte sono fondamentali perché con queste permetti alle persone di conoscere, approfondire un aspetto piuttosto che un altro. È una grande responsabilità: sei tu a decidere letture, spettacoli e film, inevitabilmente il tuo gusto, la tua formazione e le tue conoscenze si rispecchieranno in queste scelte.

La politica è fare delle scelte, credo che per fare delle scelte consapevoli, eque, per capire le alternative tra le varie scelte, le conseguenze di quelle scelte non si possa prescindere dalla cultura. Ovviamente non si può parlare di cultura senza teatro.

Certe scelte sono anche un termometro che ti consentono di capire “chi hai davanti”. A tal proposito ricordo l’occasione che mi permise di conoscere Ferai, fu quella volta nella quale venni a vedere “I monologhi della vagina” nel piccolo teatro off che avevate a Pirri: lo spettacolo mi piacque talmente che pensai di volerlo condividere con i miei concittadini. Non sapevo se Assemini fosse pronta per la rappresentazione teatrale con quel titolo ma fui felice di vedere che sì, era pronta.

Da qualche anno sei dei nostri, sul palco e non più solo tra il pubblico: quale personaggio finora interpretato ti ha dato di più?

Britany Sarritzu che ho recitato nella terza puntata di “Passioni a Villanova 3”: brillante, piena di sé, prepotente e un po’ strega che in combutta con la sua sorellastra si divertiva a vessare Lucy Denotti. Mi è piaciuto molto interpretarlo, è il personaggio che più mi è piaciuto e forse, anche se non sono io a doverlo dire, quello la cui interpretazione mi è venuta meglio.

Lasciatelo dire da noi allora: sei stata bravissima anche perché Brittany Sarritzu non ti somiglia per niente!

N.B.O.