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Cosa vedrete#3: “Libera nos a malo” (di Andrea Ibba Monni)

Quando nell’aprile del 2016 ho visto Le sorelle Macaluso di Emma Dante a Cagliari, ho deciso di scrivere un dramma tutto sardo che potesse commuovere e coinvolgere il pubblico almeno quanto quel bellissimo spettacolo aveva toccato le mie ghiandole lacrimali. Nacque Maria Gratia Plena, una piece che piacque tantissimo sia al pubblico che lo vide che agli allievi attori della classe Drury Lane di Ferai Teatro che lo interpretarono.

Dallo spettacolo:

Che pena che mi fai! Ma la tua colpa non è l’ignoranza bigotta che ti acceca: la tua colpa è che tu scegli di farti accecare. Non devi confessarti a un prete: devi parlare a te stessa, ma davvero! Guardali tutti! Guarda queste anime perse, guardati allo specchio, guarda il cadavere di Maria, di Maria piena di grazia.

Ho scritto il seguito della storia e l’ho intitolato “Libera nos a malo” che andrà in scena a fine giugno a Cagliari all’interno della rassegna “Ferai/Pride”* (clicca qui) per celebrare i 50 anni dai Moti di Stonewall. Nella Cagliari degli anni ’30 del ventesimo secolo, dopo la tragica morte della giovane Maria Lobina (protagonista dello spettacolo del 2016) tutta la sua famiglia e le persone ad essa legate affrontano alcuni drammi scaturiti da questo omicidio. Viviamo un breve periodo di questo microcosmo e della vita dei suoi abitanti tra temi come l’omosessualità, la lotta di classe, l’incesto, la pedofilia, l’ignoranza di una comunità troppo chiusa in sé stessa per potersi emancipare: è ineluttabile declino di chi ha troppa fede nella religione e troppo poco coraggio in sé stesso.

Da “Maria Gratia Plena” nasce anche un altro spettacolo, non un seguito, bensì uno spin-off che segue uno specifico ramo dell’albero genealogico della dinastia dei Lobina. Ma de “Le Sciroccate” (ne parlo qui).

[Andrea Ibba Monni]

*nella stessa rassegna ci saranno: “Le sciroccate”, “Dionysius”, “Niente e così sia”  e “Passioni a Villanova 2”

Perché tutti, se lo vogliono, dovrebbero fare teatro (di Roberta Mossa)

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Ben 6 anni fa ho deciso di provare a fare teatro e sono ben 6 anni che rinnovo questa decisione. Un amico, un conoscente o qualunque altra persona mi dice che, forse, potrebbe pensare di iniziare a fare teatro e mi chiede un po’ come funziona, se glielo consiglio e se penso che ne sarebbe capace, visto che lo faccio da tanto tempo. A quel punto – ogni volta – sento che mi si accende una lucetta febbrile negli occhi e inizio a raccontare sempre più entusiasta di quanto sia bellissimo, fantastico, incredibile, di quanto la persona che ho davanti dovrebbe assolutamente farlo, oh mio dio ti ci vedo moltissimo, ti divertiresti un sacco con il comico, per non parlare del drammatico, ecc ecc.

La verità è che posso anche non sapere niente della persona che mi sta di fronte, potrebbe essere la persona più impacciata o emotivamente repressa del mondo, ma io penso che tutti, se lo vogliono, dovrebbero fare teatro, a prescindere dal carattere e dalla storia personale di ognuno. Lo dico con così tanto entusiasmo perché… beh, perché per me è stato importante, nonostante gli alti e bassi. È un’esperienza che può dare davvero tanto sotto molti punti di vista. Poi certo, non siamo tutti uguali, ci sono tanti elementi che influiscono, ovviamente, primi tra tutti l’interesse e la passione; conta molto anche il significato che decidi di dargli nella tua vita.

La prima volta che sono arrivata a Ferai non avevo nessun tipo di esperienza. Ricordo che Andrea Ibba Monni e Ga’ ci chiesero perché avessimo deciso di fare teatro. Io, in effetti, non ne avevo idea. Era stata una di quelle scelte che sembrano casuali e non lo sono affatto, che non sapresti giustificare a parole, ma che sono dettate dall’istinto e che proprio per questo sono più radicate dentro di te. Ho risposto che lo facevo perché ero timida e volevo superare questo mio limite. Andrea – ricordo benissimo la sua faccia tutt’a un tratto incupita – ha risposto seccamente che il teatro non serve a risolvere i propri problemi personali e che avrei dovuto abbandonare quell’idea. Inizialmente ero rimasta un po’ interdetta e avevo deciso di non dare peso a quella frase, ma in fondo si, aveva ragione, il teatro non risolve i tuoi problemi. O perlomeno, non è quello il suo scopo.

Semplicemente il teatro è entrato nella mia vita e la mia vita è entrata nel teatro. La vita e il teatro non sono due cose così tanto separate come potrebbero sembrare. Non ho risolto quello che pensavo fosse il mio problema, la timidezza. Io sono sempre la stessa, ma allo stesso tempo sono diversa. Ecco, questo è veramente difficile da spiegare.

Basta pensare anche solo all’analisi del personaggio: ricostruire storie come se fossero un puzzle, sulla base del testo, creare immagini, scoprire mondi interiori totalmente diversi dal tuo, ma che hanno molto a che fare con te. Anche quando credi che il personaggio che ti viene affidato sia distante anni luce da quello che sei. Devi scavare nelle tue esperienze personali per riuscire a capirlo, quindi a viverlo. Per esempio io non sarò mai – spero! arida come Assunta, il mio personaggio in “Maria Gratia Plena”, ma so cosa vogliano dire il risentimento e il rancore, l’ansia di perfezione, la repressione dei propri desideri che ti conduce all’apatia. Non so cosa voglia dire neanche provare una gelosia, un’invidia e un amore talmente malsani da spingerti al suicidio, come Assia Wevill nello spettacolo che stiamo allestendo su Sylvia Plath. E allora non resta che ricordare come ti sei sentito quando ti sei trovato in una situazione simile, ma più blanda, o a volte anche solo focalizzarsi su quel tipo di emozione. Tutti abbiamo sperimentato la gelosia, l’invidia, l’amore. Mi capita di provare una certa curiosità verso quello che io stessa vivo nella vita di tutti i giorni, perché se posso capirlo e analizzarlo quando capita a me, posso provare a riportarlo anche sul palco. Questo ti rende più consapevole, sicuramente, ma è una sorta di effetto collaterale. Insomma non puoi prescindere da te stesso quando cerchi di far vivere un personaggio, prova dopo prova. E infatti, se dovessi rifare uno spettacolo che ho fatto tempo fa nello stesso ruolo, sono sicura che sarebbe diverso, che avrei energie diverse, altre esperienze da cui attingere.

Il mio primo esito scenico è stato Goethe: Faust” nel 2013. Ho iniziato a costruire il mio piccolo spazio creativo al di fuori dei libroni enormi di diritto e dei problemi della vita di tutti i giorni. Era bello, era liberatorio andare alle prove e per due ore non pensare a niente, uscirne rigenerata, come se avessi fatto una lunga vacanza.

Quando qualcuno mi dice che si vergognerebbe a recitare di fronte a tante persone (“ma io non ce la farei mai, tutti quegli occhi che ti guardano, sicuramente mi blocco, farei una figura di m***!”) racconto sempre com’è andata la prima volta che sono salita sul palco, per dirgli che se ci sono riuscita io, che avrei potuto vincere “sciallissima” le Olimpiadi dell’ansia, può riuscirci anche il mio interlocutore. È andata così: insieme ad altre tre mie compagne aprivamo lo spettacolo, eravamo davanti al sipario, rivolte verso il pubblico.

Cazzo, non posso credere che me ne sto qui, davanti a una marea di persone, senza essere completamente paralizzata dall’ansia!

Sentivo solo l’adrenalina a mille e un’energia che mi scorreva dentro che non avevo mai provato prima. Era bellissimo, il pubblico non mi faceva paura, mi sembrava quasi che non ci fosse. Non sentivo sguardi ostili o giudicanti, li sentivo curiosi e interessati. Era come se la timida, la fifona Roberta in quel momento si fosse dileguata. Poi è tornata, naturalmente, non è successa nessuna magia. Però ho capito che quellaenergia particolare non l’avrei dimenticata facilmente, che l’avrei cercata sempre, come una dipendenza.

Poi potrei parlare dei momenti difficili, di tutte le esperienze che ho sentito come fallimenti. Ci sono sempre i momenti di up e i momenti di down. Quando pensi di non farcela, di non essere all’altezza, o anche semplicemente quelli in cui non hai voglia, in cui stai pensando a tutt’altro, il lavoro, lo studio, gli altri problemi. A volte pensavo no, non ce la faccio, è troppo difficile, non ho idee, so che fallirò, magari mi preparo meglio a casa e torno qui alle prove che sono capace, pronta per fare quell’esercizio o provare quella parte. Mi sono sempre sentita rispondere che l’unico vero fallimento è non fare niente, perché fare qualcosa, anche male, è sempre e comunque un inizio. Prima non ci credevo. Il momento di svolta è stato lo spettacolo del 2016 Silvery Fox”. Non saprei descrivere quello spettacolo. So solo che tutti i miei compagni erano entusiasti, non vedevano l’ora di andare alle prove, io invece ne avevo una paura fottuta ed è stato orribile, ma è proprio per questo che ha segnato un momento di svolta, forse il più importante. La vera vittoria è quando dici a te stesso “Adesso basta. Basta dire no, non ce la faccio. Vai e buttati, senza pensare, lasciati andare.”

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Roberta Mossa