Dire addio a un personaggio (di Roberta Mossa)

Una sensazione che non passa mai (anche dopo tanti anni di teatro) è la nostalgia del personaggio dopo la fine dello spettacolo: come se fosse un addio. E anche questa volta è andata così… ma partiamo dall’inizio.

Quest’anno avevo deciso di vincere un limite che sentivo di avere da molto tempo, la paura della carta bianca e della libertà creativa, quindi mi sono iscritta alla classe Abadia, il corso di teatro performativo di Ferai. È stato amore già dalla prima prova, le immagini e i suoni che ti arrivano senza pensarci su, la libertà della ricerca che non faceva più paura, anzi! Una bella esperienza, interessante e stimolante… Ma sentivo che mancava qualcosa.

Poi Ga’ e Andrea mi hanno chiesto se volevo partecipare allo spettacolo dell’Odeon (“Wonderful Oz”) per una sostituzione (un’allieva incasinata con un viaggio di studio non ci sarebbe stata nella data dello spettacolo). Classe nuova, persone nuove, un testo mai visto prima, scarse possibilità di successo…. Why not?!

Mi sono detta: “No va beh, non ce la posso fare. Ma potevano chiamare Giulia Maoddi, no? Io sono incasinata… poi mi conosco, faccio mille cose e non riesco a fare bene niente… e metti che trovo un lavoro nel frattempo? No, non se ne parla neanche. Ora lo dico a Ga.”

Cinque minuti dopo:

“Pronto Ga? Sì certo, molto volentieri. Sì, sì, assolutamente! No ma stai scherzando, che figata il mago di Oz, non vedo l’ora di farlo. Sì ok, ok va bene. Ci vediamo stasera. Anzi no, stasera non lo so, che mi sa che sono ancora a Sant’Antioco. Oh, ma dalla prossima prova ci sono eh, stai sicuro. Va bene, cià!”.

Perché? È semplice. È il fascino di un nuovo personaggio da conoscere, da interpretare, la curiosità di sapere chi è, come vede il mondo, sentire nuovi suoni, profumi, atmosfere… è la tentazione di affrontare una nuova sfida, il fascino dell’ignoto. Tutte le persone che fanno teatro sanno che è la parte più interessante. C’è tanta creatività nell’interpretare un personaggio all’interno di un copione. E in qualche minuto mi sono resa conto di quanto mi fosse mancato.

Arrivo alla prima prova con l’Odeon alla Silvery Fox Factory, in punta di piedi, con l’idea che andavo per fare le mie prove, restare concentrata il più possibile per non disturbare la concentrazione del gruppo e andarmene. Invece i miei compagni di scena mi hanno fatta sentire subito a mio agio e trascinata nel simpatico caos dell’Odeon. Non ci si prende troppo sul serio, si accettano tutti, il loro carattere e le loro paure, si può lavorare con i veterani e con chi è alla prima esperienza, con i giovani e con i meno giovani. In un percorso di laboratorio anche il lato umano è importante, e le persone ti sorprendono sempre, sia in negativo che in positivo. Ho lavorato in un clima molto inclusivo, col morale sempre alto, e così di prova in prova si è creato il mio caro Spaventapasseri senza cervello: convinto di essere stupido, solo perché ha scelto di vedere il mondo con la curiosità di un bambino, libero dagli schemi di comportamento precostituiti, libero dal suo ego, dai preconcetti, dall’idea dell’apparire di fronte agli altri. Sempre in cerca di nuove prospettive con cui guardare il mondo: a testa in giù, attraverso l’oliatore, con la lente di ingrandimento su qualsiasi cosa che attiri la sua attenzione. Disinteressato e senza calcolo nell’amicizia, pronto a conoscere nuove persone. Il cervello, ovviamente, lo aveva! È stato bello farlo vivere sul palco.

Dopo che sfuma l’adrenalina pura dello spettacolo, torna quella sensazione di nostalgia che non passa mai, neanche dopo anni di teatro, dopo che ci fai l’abitudine.

Roberta Mossa

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