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Le voci di Ferai: Raffaella Ruiu (di Roberta Mossa)

Ciao Raffaella, piccola introduzione: chi sei, di cosa ti occupi, insomma come ti presenteresti ai nostri lettori?

Ho sempre avuto un po’ di difficoltà con le presentazioni, mi sembra di dover per forza mettere un’etichetta e fissare dei paletti su chi sono. In ogni caso ci provo.

La presentazione è sempre la parte più difficile!

Mi chiamo Raffaella, ho festeggiato i miei 39 anni in lockdown ma ho la fortuna di avere persone speciali nella mia vita che lo hanno reso comunque bello. Sono socia fondatrice e lavoro per l’Associazione Codice Segreto Onlus che si occupa di attività artistiche, ricreative e di stimolo per l’autonomia individuale per giovani e meno giovani con disabilità intellettiva. Codice Segreto è la mia seconda famiglia, il mio porto sicuro, una delle cose fondamentali della mia vita. Sono curiosa, testarda, affidabile, puntigliosa e rompiscatole.

Una mia curiosità Raffaella: come e perché sei arrivata a Codice Segreto?

Codice Segreto nasce ufficialmente nel 2010 dalla volontà di un gruppo di amici, che facevano parte di un’associazione culturale che si occupava teatro amatoriale, di creare qualcosa di proprio e condividere la loro passione per il palcoscenico. Ufficiosamente nasce molto prima, nel 2008 quando alcuni di quegli amici hanno vissuto settimana intensa di volontariato durante una manifestazione sportiva con atleti diversamente abili. Quella settimana ha lasciato un segno importante nell’animo di tutti e da lì è stato più che naturale che le strade si intrecciassero fino a diventare un’unica realtà.

Quindi si può dire che la fondazione di Codice e la passione per il teatro sono andati – quasi – di pari passo?

Diciamo che prima che Codice nascesse il teatro faceva già parte della mia vita, in maniera differente. Quello che accomuna queste realtà all’interno della mia vita è sicuramente la voglia di fare sempre qualcosa di nuovo, di salire un altro gradino. Con tutta l’ansia, la paura e i pensieri che questo comporta nella mia mente fin troppo sincronizzata con la routine quotidiana. La novità è fonte di effervescenza, ma anche di preoccupazione, sempre.

La cosa più bella del tuo lavoro?

Credo la certezza di sapere che avrò sempre qualcuno accanto, nei momenti felici, come in quelli tristi, nelle scelte e nei tentennamenti. E gli sguardi, quegli occhi che ti scandagliano dentro in venti secondi senza darti il tempo di nascondere niente. E gli abbracci, quelli che ora mi mancano.

Ecco, come ve la siete cavata col lockdown? I ragazzi l’hanno vissuta bene, siete riusciti a continuare le attività?

È stato un po’ difficoltoso. Alcune attività si sono necessariamente dovute interrompere perché comportano le necessità di una presenza fisica, altre sono continuate con i metodi telematici a disposizione: ci sono state e ci sono attività didattiche, attività di supporto e di ascolto, videochiamate multiple e infinite, dirette facebook, messaggi… insomma, tutto ciò che può servire perché i progressi ottenuti durante tutto l’anno non vadano persi e per continuare ad essere presenti nonostante la lontananza fisica forzata.

E invece riguardo il teatro qual è lo spettacolo di Ferai che hai amato di più? Io personalmente ho adorato Ada in “Maria Gratia Plena” e anche in “Libera nos a malo” ma scommetto che è stato anche il tuo preferito!

Ada Lobina è certamente un personaggio che, una volta incontrato, ti rimane attaccato addosso, si ruba un pezzetto della tua anima, quindi si, posso dire che “Maria Gratia Plena” e “Libera nos a malo” siano gli spettacoli a cui sono più legata. Però c’è un altro spettacolo a cui sono particolarmente legata, “Silvery Fox”, per la libertà assoluta con cui l’ho vissuto e per tutti i rimandi che si è portato dietro e che ritornano, sempre.

Hai affrontato l’esperienza di fare la regia de “La Passione che ha salvato il mondo”. Com’è stato? Cosa consiglieresti a chi decide per la prima volta di fare la regia di uno spettacolo?

Una regia è sicuramente impegnativa e mette in campo energie e metodologie totalmente diverse da quelle che si utilizzano da “semplice” attore. Devi trasformare tutte le immagini, le sensazioni, gli odori, i movimenti che hai nella tua testa in qualcosa che possa suscitare le stesse emozioni in chi guarda. L’unico consiglio che mi sento di dare è quello di buttarsi, di non aver paura di tentare e poi correggere di prova in prova le intuizioni avute, in base a ciò che si crea quando le diverse anime che lavoreranno a quello spettacolo si incontrano. Inizialmente ero spaventata all’idea, ma poi piano piano tutto si è sciolto, anche grazie agli splendidi colleghi con cui ho avuto la fortuna di lavorare.

Hai in programma di scrivere qualcosa di tuo?

Scrivere mi è sempre piaciuto. Per il momento ti dico di no, ma in futuro, chissà…

Roberta Mossa 

Le voci degli allievi: Monica Murtas

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Eccoci qui, Monica! Grazie mille per aver accettato di fare una chiacchierata con me! Iniziamo con una piccola premessa, Monica, raccontaci chi sei, fatti conoscere dai nostri lettori.

Mi chiamo Monica Murtas ho quasi 50 anni sono una impiegata/ digital working/segnalatrice assicurativa/teatrante, logorroica, passionale, estroversa,  moglie e madre di 2 figli.

Una vita senza impegni, quindi! Toglici una curiosità, Monica, come e quando ti è “venuta voglia di teatro?”

Ride. La voglia c’è sempre stata, ma il primo approccio l’ho avuto 4 o 5 anni fa, tramite l’associazione onlus Codice Segreto. Mi proposero un laboratorio teatrale integrato, accettai e conobbi Ferai, fu immediatamente amore.

Oltre al laboratorio di teatro integrato con Codice Segreto, quali altre classi di recitazione hai, poi, frequentato?

Dopo circa 2 anni ho frequentato un laboratorio estivo di 6 settimane, portammo in scena una commedia in lingua sarda: “Gommai Mia” quante risate e quanta paura. Poi le classi Kammerspiele e La Fenice.

Facciamo un giochino: sono una persona molto introversa e non mi sento assolutamente portata per il teatro, convincimi a frequentare una di queste classi!

Vieni, anche solo per assistere. Non andrai più via, son certa. Scoprirai cose di te che non conoscevi.

E se dovessi darmi un buon motivo per scegliere Ferai?

Indubbiamente primo per i maestri Andrea e Ga’ due giovani menti che scrivono, progettano, creano per loro e per altri (classi, staff, attori) testi e spettacoli differenti, tra i quali puoi scegliere, e ti accompagnano nella ricerca, nel percorso, stimolando la tua visione del personaggio. Inoltre c’è rigore, professionalità, onestà intellettuale,ed un ambiente familiare.

Va bene mi hai convinta!

Ride. Con te è troppo facile!

Monica, ti andrebbe di parlarci del personaggio più difficile che hai dovuto affrontare? Di che spettacolo si trattava, come hai superato le difficoltà, e così via?

Oddio. Aspetta che mi do un’aria: ne ho fatto molti, devo pensare!

Rido. Prenditi il tempo che ti serve ci mancherebbe!

Personaggio più difficile che ho affrontato… Dalia una regina di un popolo dell’ Ade, maga, cattiva. Ho faticato fisicamente, ho superato le partiture con allenamento e concentrazione, e non sono caduta dal cubo su cui stavo in equilibrio durante lo spettacolo! Per non parlare del salto e delle corse nel palco. Molto lavoro e fatica, tutto ripagato dal cuore che palpitava insieme alla musica e alla mia anima

Lo spettacolo era “I racconti della Grande Roccia”, giusto?

Sì, brava, c’eri anche tu.

Monica, grazie mille per questa chiacchierata! Ho solo un’ultima domanda, e credo che ce lo siamo chiesti tutti fin dall’inizio: “impiegata/ digital working/segnalatrice assicurativa/teatrante, logorroica, passionale, estroversa,  moglie e madre di 2 figli”, ma dove trovi il tempo e le energie per fare tutto?

Non lo so, “ma  mi piace”! Son sempre stata iperattiva. Possiamo anche dire che esagero! Sono anche la Signora Sorvegliante! Grazie a te per la chiacchierata.

Di nuovo grazie Monica, fantastica come sempre!

Ilenia Cugis

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E tu come memorizzi un copione?

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Di seguito alcuni metodi di memorizzazione di un copione da parte di qualche allievo del laboratorio di recitazione di Ferai Teatro. Li abbiamo riassunti, alcuni uniti perché tanto simili e con pochissime (ma importanti differenze). Va detto che ognuno ha il proprio personale modo di memorizzare una parte (o dovrebbe averlo) e che quindi vi riportiamo i vari modi, ognuno valido nella misura in cui va ovviamente bene per chi lo utilizza, cercando di evidenziarne sia i vantaggi ma anche gli eventuali punti deboli.

Dopo aver sottolineato, leggo e ripeto frase per frase, man mano che vado avanti con le frasi ripeto sempre dall’inizio aggiungendo la frase nuova. Se necessario sbircio dal foglio e ripeto finché non è più necessario il foglio, cercando nel tutto di concentrarmi sul senso di quello che dico. Questo è un metodo che ha come svantaggio il fatto che le battute finali son quelle che si provano di meno.

Registrazione. Utile per correggere articolazione, respirazione, dizione, difetti di pronuncia ma potrebbe risultare arido alla lunga a livello interpretativo.

Io leggo molte volte e poi provo a ripetere pezzo per pezzo. Lo faccio davanti allo specchio per aggiungere al monologo l’espressione del viso e per tenermi composta quando parlo. Il rischio è che il controllo delle espressioni del viso tenda a sconfinare nella regia del pezzo, ma è un rischio abbastanza remoto.

Leggo e ripeto, leggo e ripeto dividendole battute in frasi e concetti, cercando di capire e interpretare pienamente ciò che c’è scritto. Bisogna poi cercare di unire il tutto in modo omogeneo in modo da non avere troppi frammenti slegati tra loro.

– Come primo lavoro di memorizzazione visiva scrivo le battute prima delle mie e poi le mie. Come secondo step di memorizzazione visiva scrivo solo la parte finale delle battute prima delle mie e poi ancora le mie. Come terzo step registro il 1 punto e ascolto varie volte e poi registro il 2 punto e ascolto varie volte. Come ultimo passo registro tutte le battute degli altri personaggi e lascio lo spazio vuoto per recitare le mie con cesure, intenzione e qualità del personaggio.

– Registro in continuazione tutto il pezzo poi ogni frase con parole mancanti poi ripeto senza ascoltare. Il rischio è che in questa sorta di “quiz” si perda subito la parte interpretativa (la parte principale dell’obbiettivo da raggiungere)

Io accento e metto le cesure alle mie battute e poi leggo e ripeto più volte cercando di memorizzare gli accenti e le cesure. Dopo mi registro prima cercando di stare attenta solo alla dizione, e poi faccio un’altra registrazione di tutte le battute cercando di fare sia dizione che interpretazione. Poi mi ascolto e ripeto prima solo in dizione e poi aggiungendo l’interpretazione. L’ideale sarebbe rendere la dizione scontata e l’articolazione della parola una norma in modo tale da bruciare i tempi e finalmente non separare il buon uso della vocalità a un buon uso del corpo che la racchiude (è come dire che si separa l’uso di una gamba dall’altra).

Registro le scene in cui son presente recitando tutti i personaggi e mi riascolto. Poi registro la scena solo con le battute degli altri personaggi e lasciando un “buco” di silenzio per le mie battute, così quando riascolto attacco e do io la battuta. Ultimo step quando son diventata bravina: recito a voce alta tutte le battute, mie e degli altri. Un procedimento lungo e laborioso che però sicuramente rende sicuro lo stare in scena ed è un allenamento sotto tanti punti di vista che però non deve togliere nulla al proprio lavoro.

Obbligo mia madre a fare tutti i personaggi e ripeto le mie battute. Prima veloce senza interpretazione e poi con sempre più intenzione. Dipendere dagli altri è sicuramente rischioso, soprattutto se “gli altri” non sono colleghi. Ma l’immagine di una madre “obbligata” all’esercizio è molto divertente.

Non ho un vero e proprio metodo. Memorizzo manco fossero un mantra i finali di battuta prima delle mie, quasi come facessero parte della mia battuta, e li ripeto ripeto ripeto. Mi aiuta molto memorizzare studiando in simultanea il personaggio, trovando una voce, un’intenzione. Diciamo che più interpreto, più mi vien facile. Ma alla base c’è ripetere ripetere ripetere. Non avere un metodo è sempre rischioso, lasciare al caso e all’ispirazione la preparazione di un lavoro è sempre negativo soprattutto perché affidarsi solo all’interpretazione, all’intenzione e alla “voce” è troppo casuale, approssimativo.

Scandisco ogni sillaba di ogni parola della frase mentre ripeto in modo neutro, acquisita un po’ di memoria vado più liscio sempre neutro, acquisita più memoria ancora ripeto velocemente sempre neutro ma usando il corpo (gesti, spostamenti) per vedere che mi viene da fare istintivamente, ultima fase quando ho buona memoria provo la scena direttamente se ho vuoti rallento e sillabo o faccio movimenti a ritroso. Corpo e voce riuniti come dev’essere. Approccio lungo ma che dà certamente una gran sicurezza. Bisogna solo far sì che il gesto istintivo lasci poi spazio alla tecnica, al rigore e all’elasticità in sala prove davanti a chi cura la regia e spazio all’azione di chi sta in scena con noi.

Cerco di memorizzare anche le battute precedenti alle mie, non esattamente, ma il senso generale. Cerco sempre di capire l’intenzione del personaggio, in modo da vivermi la scena e non avere problemi di memoria. Capire cosa si sta dicendo e perché lo si dice è certamente indispensabile.

Evidenzio in giallo la mia parte poi evidenzio con colori diversi le battute prima delle mie, per cercare di memorizzare. Leggo e ripeto diverse volte, cercando di ripetere con il copione chiuso. La memoria visiva certamente aiuta parecchio, ma non basta dal momento che ci lascia dipendere troppo dalle altre persone e dalla loro memoria.

Leggo. Ripeto prima la battuta a mente. Cerco la/le parola/e chiave delle battute. Poi le provo. Se non mi convince cambio la parola chiave. Solo per memorizzare però perché poi nell’interpretazione normalmente le parole chiave si inter-scambiano.

È importante darsi appigli, soprattutto interpretativi. Ma dopo aver memorizzato il testo bisogna lasciare libera ed elastica l’interpretazione.

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Codice/Ferai Delbono: Onironauti, lucidi sognatori

Foto di Sabina Murru

Se si sogna da soli, è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia.

Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo: alcune ci riportano indietro e si chiamano ricordi; altre ci portano avanti e si chiamano sogni. Essi sono risposte a domande che non abbiamo ancora capito come formulare. La scorsa estate Ignazio ci ha lasciati ed è stato automatico drammatizzare l’avvenimento, cristallizzarlo in uno spettacolo (ne abbiamo parlato qui) ma non volevamo focalizzarci su questo: avevamo voglia e bisogno di evadere dalla realtà, svagarci e fantasticare come nei sogni, ma guidandoli, decidendo che i nostri sogni sarebbero stati scelti da noi.

In scena tra gli altri c’è Silvia che in un esercizio di improvvisazione ha detto:

Sono contenta perché nei miei sogni posso fare tutto: anche far resuscitare Ignazio usando la bacchetta di una fata”

Abbiamo quindi capito che tutte le cose che abbiamo amato, chiedono aiuto nei nostri sogni. Abbiamo realizzato che avremmo dovuto comunque ripartire dalla morte di Ignazio per poter andare avanti, tutti insieme.

Ci sono immagini che non sono fatte per la luce: certi sogni lo sanno.

Abbiamo costruito ogni scena sulla pelle degli interpreti cercando di farli guida del messaggio: Ferai Teatro e Codice Segreto presentano “Onironauti, lucidi sognatori” scritto e diretto da Ga&Andrea Ibba Monni per Codice/Ferai, in scena alla Silvery Fox Factory sabato 22 giugno 2019.

Fai bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più.

 

Codice/Ferai Platel: La battaglia delle bestie ferite

Foto di Sabina Murru

Passavi le tue giornate senza parlare e ci hai lasciati senza parole.

Quando una creatura viene strappata via da questa vita, noi non possiamo fare altro che prenderne atto e andare avanti sperando di essere in grado di convertire il dolore in Arte: è un nostro diritto, è il nostro dovere, è la nostra salvezza.

Caro Ignazio, abbiamo provato a cercare quel “Codice Segreto” in sala prove e poi sul palcoscenico, sei stato generoso e ti ricorderemo sempre, per sempre.

L’estate scorsa sei andato via all’improvviso e subito ci è parso necessario lavorare con coraggio a un laboratorio che entrasse dentro le corsie e le camere d’ospedale: è nato spontaneo e urgente “La battaglia delle bestie ferite” che abbiamo costruito insieme ai partecipanti al laboratorio di teatro integrato “Codice/Ferai Platel” e che andrà in scena in doppia replica domenica 23 giugno alle 18 e alle 20 presso la Silvery Fox Factory.

Non è la storia di un ospedale bensì le storie di chi lo abita.

Ecco uno stralcio del copione che racconta al meglio il progetto:

Voglio sentirmi libero di parlare di cose tristi. Non c’è niente di male, anche se tutti continuano a dire che bisogna stare su e pensare positivo, anche se tutti abbiamo assimilato il concetto che qualunque cosa succeda la vita va avanti. Voglio potermi lamentare del fatto che esistono troppe indicazioni per cercare di vivere bene, ma nessuna per stare male nel modo che più mi piace.

Ogni tanto vorrei che anche altre persone insieme a me s’innamorassero di un silenzio a tempo indeterminato.

Vorrei poter dire, lo dirò adesso, che non mi manchi, ma che avrei tanto voluto mancarti. Vorrei e ti dico, che non devi preoccuparti, che il tuo ricordo vive in chi ne ha bisogno e va bene così. In questi mesi ti ho tenuto a dormire sul cuore come lo spiritello di un film o di un cartone animato.

Oggi apro la finestra dentro il mio cervello, le porte scorrevoli dell’ospedale e quelle della tua messa, apro ogni porta di casa, tutte le finestre e le vie di fuga.

Non voglio pensare che rimani perché non te ne potevi andare.

Queer as f*ck! – ben oltre un semplice laboratorio

“Ferai Teatro fa un altro laboratorio teatrale gratuito riservato agli under30”

ma in realtà non è solo questo.

Queer as f*ck! è l’occasione per trattare tematiche di sessualità in maniera davvero libera grazie al teatro; Queer as f*ck! è anche e soprattutto un’occasione: quella di celebrare la vita raccontando molte vite diverse e ricordando che la diversità è ricchezza, non povertà; Queer as f*ck! è un percorso che fa bene all’anima e al corpo perché l’arte fa bene alla salute sempre e in ogni circostanza; Queer as f*ck! è un percorso che porterà alla luce del sole storie vere che hanno cambiato il mondo; Queer as f*ck! è l’occasione per prendere coscienza che la natura umana e animale non è una strada a senso unico bensì molte strade, alcune si incrociano mentre altre saranno sempre parallele; Queer as f*ck! è la possibilità di far conoscere la magia dell’arte; Queer as f*ck! è la serenità di ritrovarsi per un fine più grande, quello di fare un teatro politico nella misura in cui la politica è bellezza collettiva; Queer as f*ck! è spirito di squadra, fratellanza, sorellanza, amore e rispetto.

Dal 4 maggio al 22 giugno, tutti i sabati dalle 15 alle 17 alla Silvery Fox Factory in via Dolcetta 12, costruiremo un percorso di consapevolezza sociale attraverso l’arte teatrale: si andrà in scena venerdì 28 giugno in occasione dello spettacolo “Niente e così sia” che è in prova da inizio marzo con la classe Odeon della scuola di Ferai Teatro all’interno della rassegna “Ferai/Pride”* (clicca qui) per celebrare i 50 anni dai Moti di Stonewall.

INFO E ISCRIZIONI: [email protected]

 

 

Il vero successo (di Andrea Ibba Monni)

Da 11 anni a questa parte abbiamo tagliato tanti traguardi ma i più belli sono quelli che conseguono le persone che hanno iniziato a fare teatro da noi: perché quando la scuola diventa passione e la passione diventa lavoro allora il nostro obbiettivo è stato raggiunto.

L’elenco è lungo, speriamo sia ancora lungo ma non perché il nostro ego ne tragga giovamento, ma perché significa che i sacrifici e l’ideale sono stati sposati anche da altri: ci siamo messi a correre da soli, in salita e adesso siamo sempre di più.

Da sempre io e Ga’ avevamo un sogno: creare una nostra realtà, un nostro teatro ma non perché gli altri non andassero bene, semplicemente perché noi non andavamo bene per loro, quindi ci siamo messi l’anima in pace e abbiamo costruito attorno a noi.
Adesso abbiamo uno spazio nostro (questo), l’abbiamo chiamato “factory” perché vogliamo sia una fabbrica di idee e talenti che artigianalmente e con dedizione, abnegazione e duro lavoro producono bellezza.

In questi anni abbiamo messo in scena svariate produzioni di successo, una scuola di recitazione che cresce di qualità e quantità anno dopo anno, collaborazioni preziose con altre associazioni meravigliose. 
Abbiamo ancora tanti progetti, tanti sogni: cerchiamo di presentarveli al più presto.

Ci stiamo riuscendo, piano piano, sbagliando sempre perché osiamo sempre: e non siamo più soli.

Codice/Ferai 2018: due spettacoli di teatro integrato

Una dimensione senza tempo, dove tutto è fermo. I giorni tutti uguali. Le notti come ieri.  Lo sai… il tempo qui non muore mai. L emozione riposa e lascia spazio al silenzio. È il silenzio che somiglia al mio amore.

Due che rendono il pubblico inerme a una sensazione di confortevole malinconia; intriganti, che spingono a entrare in una dimensione estemporanea dove quello che succede non ha inizio né fine. Dove nasce la consapevolezza che tutto quello che noi facciamo è sempre diverso dagli altri: la paura di conoscere un mondo nuovo che è difficile da interpretare.

Il tempo qui non muore mai racconta, attraverso la finzione teatrale la verità delle vite quotidiane di un gruppo di persone con differenti abilità. Una storia che parte dalle prime luci dell’alba, e che attraverso lo scandire del tempo rappresenta le piccole e grandi battaglie e vittorie cui questo gruppo si trova ad avere a che fare quotidianamente. Integrazione, parola e gioco. Ovvero le tre parole che definiscono al meglio lo spettacolo e che forse descrivono in modo efficace ciò che le vite di queste persone sono. Integrazione: ogni mattina la luce del sole spinge l’uomo ad uscire di casa per riallacciarsi col resto del branco umano; la stessa cosa avviene per queste persone, ma l’integrazione, lungi dall’essere un normale processo sociologico, è qui vista come un obiettivo, una quotidiana sfida, un punto all’orizzonte in perenne movimento, tartaruga di Achille splendente e piena di promesse. Parola: perché è attraverso le voci di queste persone che riusciamo, coi loro racconti e confessioni, a scorgere le difficoltà di una sfida spesso impari, a leggere differenze e convergenze, a intuire quanto la quotidianità possa presentare per ognuno di noi picchi e abissi di felicità e sconforto diametralmente opposti o straordinariamente simili. Gioco: ovvero lo strumento sociale che dopo la parola avvicina l’uomo al suo simile più di ogni altra cosa. Alcuni degli attori sono atleti veri, con al loro attivo medaglie vinte in diverse discipline agonistiche. Attraverso il gioco e l’attività fisica è possibile notare quanto il gioco sia unificante, uguale per tutti, differenti o normali, deboli o forti.

Al Silenzio somiglia il mio amore è fratello gemello e insieme nemesi di “Il tempo qui non muore mai”. Se nel precedente spettacolo il racconto era focalizzato nel lasso di tempo fra alba e tramonto, qui siamo invece nella zona d’ombra. Nella notte, nel “fuori scena”, nel privato più intimo e segreto. Il silenzio del titolo possiamo identificarlo con quello notturno. Il silenzio del sonno, il non luogo in cui i sogni diventano reali e vivono di luce propria. È in questo spettacolo che viene fuori il lato più onirico, surrealista e poetico degli attori in scena. Possiamo vederli muoversi come fantasmi sulla scena, rappresentare battute di caccia che somigliano alle sfilate di moda, quasi a parodiare il mondo patinato dei “normali”, in una penombra di movimenti e spazi solo apparentemente occupati in modo casuale. E anche qui possiamo sentirli raccontare, recitare esprimere con la parola e con la voce il loro punto di vista. Punto di vista “diverso” quindi speciale, punto di vista unico e splendente di verità. Un teatro che con la finzione racconta la verità più vera, e lo fa con testi che di “vero” hanno ben poco. La voce però non mente, ed è attraverso le voci più che attraverso le parole, che scorgiamo questa verità sepolta a cui non vogliamo troppo spesso dare importanza e spazio. 

Attraverso il gioco, il contatto umano, il racconto la voce e la parola entriamo per quasi due ore nelle vite di questi attori straordinari. Per poi uscire da teatro con una consapevolezza in più; la consapevolezza che la normalità del nostro branco è solo apparente. C’è altro fuori, ed è bellissimo. Il tempo lì non muore mai.

Codice-Ferai è un laboratorio di teatro integrato nato nel 2014: l’obiettivo è integrare le varie abilità e abbattere le barriere invisibili dell’indifferenza e del pregiudizio tra normodotati e diversamente abili; lo strumento per perseguire lo scopo è il linguaggio universale del teatro che nasce e si nutre di un concetto fondamentale: siamo tutti normali in modi diversi, perciò la normalità è essere diversi l’uno dall’altro. Quest’anno in scena le due classi del laboratorio per un totale di 60 attori con diverse abilità e non.

SABATO 2 GIUGNO
ORE 18:30 – Al silenzio somiglia il mio Amore (classe Delbono)
ORE 20:30 – Il tempo qui non muore mai (classe Platel)
Informazioni e prenotazioni
3487765583 3402432303 – [email protected]
Entrambi gli spettacoli sono scritti, interpretati e diretti da Ga&Andrea Ibba Monni
Assistenti di scena: Silvia GrussuFrance MulasBetta MurgiaRaffaella Ruiu
Assistenti alla regia: Andrea Oro Simone Sund
L’intero ricavato verrà utilizzato dall’associazione Codice Segreto per la realizzazione di progetti dedicati ai loro artisti speciali.

Costo biglietto singolo spettacolo € 10,00

Costo biglietto personale (non cedibile) per due spettacoli € 15,00

Andrea Oro e Simone Sund, Assistenti alla regia degli spettacoli

Ibba Monni “In deep water” a Siracusa: “Borders”

Sono 32 e provengono dal Belgio, Croazia, Turchia, Grecia, Lituania, Bulgaria, dalla Sicilia e dalla Sardegna e si sono affidati ad Andrea Ibba Monni per un workshop di teatro integrato intensivo chiamato “In deep water” dal Vicepresidente di Ferai Teatro, che insieme a Ga ha ideato lo spettacolo “Borders” che dirige in queste ore a Siracusa, in Sicilia.

Dice Andrea Ibba Monni:

È un progetto ambizioso che mira a rappresentare ciò che l’Arte rappresenta fin da sempre: nascita, amore e morte. Guidare 32 persone, parlando in inglese, in un percorso così articolato è una follia. E io amo le cose folli: rischiare è vivere,

Lo spettacolo in scena nella suggestiva cornice dell’ex convento nel cuore di Ortigia, isola di Siracusa, si aprirà con un testo di Pina Bausch e si snoderà in tredici scene in cui gli interpreti metteranno in scena le varie fasi della vita tra il comico e il tragico. Gli ingredienti ci sono tutti: la colonna sonora è eclettica, l’uso del corpo è spregiudicato, i testi sono ricercati e gli interpreti molto diversi.

La generosità con la quale questi interpreti si stanno affidando a me è commovente. Parliamo di diverse culture e di diverse abilità psico-fisiche, unite nell’obbiettivo comune di oltrepassare i “confini” che danno proprio il titolo alla piece teatrale che ho scritto con Ga’ e che loro stanno vivendo intensamente.

L’appuntamento è sabato alle ore 18 per questo progetto finanziato dal programma della Commissione Europea “Erasmus+” per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport.

Al centro, con i pantaloni corti, Ibba Monni dirige il cast

Ferai va (anche) in Sicilia: missione Siracusa!

Atene, Grecia: 29 gennaio – 5 febbraio 2017 – Ferai Teatro ha partecipato allo spettacolo “Reflections” andato in scena ad Atene dopo un workshop intensivo di una settimana con interpreti di otto nazioni diverse. Ora replica con:

Sircusa, Italia: 18 – 26 marzo 2017 – Si terrà il 25 Marzo prossimo alle ore 18:00, presso i locali dell’Ex Convento del Ritiro di Ortigia, lo spettacolo teatrale “Borders”, tappa finale del workshop di teatro integrato “In deep water”, finanziato dal programma della Commissione Europea “Erasmus+” per l’istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport e diretto da Andrea Ibba Monni per Ferai Teatro. Ibba Monni avrà il compito di guidare lungo il percorso circa quaranta persone provenienti da otto nazioni e con diverse abilità psico-fisiche.

Grazie al prezioso contributo del Comune di Siracusa, di Ferai Teatro e dell’Associazione Codice Segreto ONLUS, l’Associazione Diversamente contribuirà a migliorare l’integrazione e la visibilità ed aumentare le opportunità di lavoro delle persone disabili, attraverso l’applicazione del metodo del teatro educativo, che consente di emancipate le persone con disabilità sviluppando le loro capacità e competenze.

Il progetto, che coinvolge otto partner europei, prevede 8 laboratori di teatro educativo, nonché attività di scambio di esperienze e conoscenze, che coinvolgono sia disabili che non disabili.

L’Associazione DiversaMente è uno dei partner del progetto Educathe+. Il workshop di Siracusa si colloca come sesta tappa del tour europeo del progetto che, dopo aver visitato Croazia, Turchia, Belgio e Grecia, approderà in Lituania e Bulgaria per poi chiudere il cerchio nuovamente in Croazia a Settembre 2017.

Ulteriori informazioni nella piattaforma ufficiale dei progetti Erasmus+ Erasmus + platform project results o sulla pagina ufficiale del progetto E+ Platform: la piattaforma ufficiale è utilizzata dai partner al fine sia di condividere esperienze, competenze e conoscenze sia come piattaforma comune per materiali di lavoro e strumenti, così come tutti i risultati del progetto.