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Perché e come ho iniziato a fare teatro (di Ilenia Cugis)

2008: Air Can Hurt You

È il 2008, lo spettacolo di baratto teatrale si intitola “Air Can Hurt You”, ed è il momento esatto in cui mi innamoro del teatro.

È notte. Sono in macchina con un’amica di mia madre. Guida nel buio delle strade strette della campagna di Flumini di Quartu. La macchina si ferma sulla strada. Scendo.

C’è un grandissimo cancello di metallo, grigio. Ga’ è vestito di nero, ha un cappello in mano, dal quale fa pescare alle persone un pezzo di cartoncino. Sul mio cartoncino c’è un segno di pittura blu. Vengo separata dalle persone con cui sono arrivata e insieme a qualche estraneo attraverso un giardino e arrivo in una stanza, abbastanza grande. C’è una televisione. C’è un ragazzo (Enrico Cara n.d.r.), di spalle, con ali da angelo e la schiena scoperta. La sua ombra è proiettata sul muro.

Parte un video. Le immagini sono mischiate, sovrapposte, i temi sono tanti, frammentati, iniziano si fermano ricominciano. Il video è un sogno. Poi finisce.

Siamo condotti all’esterno. Vedo che nelle altre stanze accadono altre cose. Io sono sul porticato. Un’attrice, Andreina, ha un enorme blocco di rami secchi in mano. Sembra respingere e scacciare dei fantasmi dal suo passato.

Poi, inizia qualcosa.

Che solo più tardi, scoprirò essere la “Stanza Rossa”.

Ci sono Andrea Ibba Monni e un’attrice che non conosco, che non ho mai conosciuto. Lei è mora. Ed è molto bella (Barbara Piu n.d.r.).

Il pezzo è una lotta lenta e veloce per l’amore, è violenza e tenerezza, la Stanza Rossa è complessa, complessa come la passione, la rabbia, l’affetto, la gelosia. I loro corpi si trovano e non si trovano. Lei fugge e si rifugia, lui la cerca, la prende, la perde.

Per come lo ricordo io, alla fine vincono la violenza e la gelosia. Eppure Andrea canta, perché l’amore c’è ancora.

Inizia una musica. La sento ancora dentro le orecchie, 12 anni dopo.

Restiamo nel portico, mi pare che tutto il pubblico si sia ora ricongiunto.

La musica è forte e una luce fievole si muove da dietro la casa. Sono tre candele e un ragazzo, Giacomo (Peddis n.d.r.), le tiene davanti a sé. Arriva circa davanti al portico, lo vediamo tutti. Lo vediamo contorcersi mentre le candele illuminano e scaldano punti diversi del suo corpo nudo, magro, allenato, si muove e ad ogni movimento cambia forma, il suo corpo in eterna danza con le candele.

La cera finisce di bruciare e non c’è più musica.

Sono certa che siamo tutto il pubblico ora, insieme, veniamo condotti giù dal portico, camminiamo verso il lato destro della casa, siamo nel retro del giardino. C’è qualche albero e una luce lieve. Ed è lì, sul pavimento di terra, erba e foglie secche, sui rami caduti, in mezzo a spine e cespugli, è lì, che appare Nastas’ja Filippovna.

Con le sue maschere. Con le sue gambe. Con la sua voce. Quella voce che ve lo assicuro posso sentirla nelle orecchie. Ha anche un libro in mano. Un ombrello. Teli. Mi innamoro di Nastas’ja, piango, sono scossa, ho i brividi, è il momento esatto in cui capisco che cosa significhi il teatro per Ferai. Quando il pezzo finisce il mio cuore è assetato, forse famelico, dice: “ancora, ancora”.

L’ultima scena è La Cena.

Ci sono adesso tutti gli attori intorno ad una tavola. Mangiano ravioli. Giocano con il cibo. Con le posate. Sono pericolosi coi coltelli. Si sfidano. Non vogliono mangiare, ci sono infiniti spettri di disturbi alimentari e relazioni parentali malate.

Alla fine, un primo di loro, si accorge che manca qualcuno, o qualcosa.

“Laura (Solla n.d.r.), anche l’aria può ferirti”.

La cena si scompone e gli attori cercano disperatamente ciò che manca, per tutto il grande giardino. Noi li seguiamo. La ricerca termina al cancello. Gli attori sono tutti lì, con gli occhi verso il cielo, nella notte buia.

Infine, questo è ciò che ricorda la mia mente, gli attori sono scomparsi. Nel nulla. Siamo rimasti solo noi, spettatori, davanti al cancello grigio. Insieme a Ga’, vestito di nero, con il suo grande cappello, in testa. Che ci mandava via, a casa.

“Ancora, ancora”, ripete il mio cuore estremamente confuso e affamato. Due mesi dopo ho frequentato la mia prima lezione di teatro.

Ilenia Cugis

RAPSODIA:STAMINA – frammenti (di Ilenia Cugis)

Nel silenzio della Silvery Fox Factory c’erano rumori di passi lenti e suole di scarpe che scricchiolano.

C’erano gli occhi di Andrea Ibba Monni che guarda dritto davanti a sé, sono stampati nella mia memoria.

Insieme al rito della notte.

Mentre la luce si rifletteva sulla grotta bianca di Ga’.

Ga’, ballava; davanti a lui c’era un mio amico, che piangeva. Guardava Ga’ che ballava per lui, e piangeva.

Mi fa sorridere.

C’era un sacco di cibo all’ingresso. Finché l’abbiamo rimosso. Tante tantissime banane. Banane banane e banane. Le ho portate a casa.

Arrivavo sempre di notte alla factory, quando finivo di lavorare. La luce ovattata, mi cullava. Una notte ho sentito il suono di una sedia che veniva spostata da una ragazza del pubblico. Lei ha scritto qualcosa su un quaderno e l’ha passato ad Andrea, lui ha annuito e sorriso con gli occhi, perché aveva la bocca coperta col nastro. Molto lentamente e in maniera estremamente religiosa Andrea ha messo via i chicchi di riso. Ha preso le mani della ragazza davanti a lui. Si sono toccati.

Mi piaceva guardare i chicchi di riso.

Mi piaceva guardare le mani che si toccano.

Mi sono seduta davanti a Simone con una bacinella sulle gambe. Abbiamo lavato e strizzato e bagnato e strizzato.

Mi piaceva guardare le ragazze che lo aiutavano a cucire. Tutto, ovattato, nella notte, nel silenzio, nella calma apparente.

Una notte quando sono arrivata era quasi l’una. Era già giovedì. Erano rimasti tre performer per “Democratic Schism”. Davide, Ilaria, Francesca, così stanchi che avrei avuto voglia di abbracciarli. In movimento da quattro ore, rimasti solo in tre. I corpi sfiniti. Erano molto belli. A momenti mi incantavo a fissare una di loro tre. Poi l’altro, poi l’altra.

Andrea era in piedi.

Sentivo, non so perché, che stesse in piedi nel tentativo di dare tutta la sua energia ai tre performer e beh, dopo 4 giorni qui, dentro la Factory, uno l’energia se la sarebbe voluta centellinare, mentre Andrea la stava espandendo, voleva darla, voleva inondare lo spazio, l’aria era piena di energia calma e pacifica.

Quella stessa notte, più tardi, forse intorno alle due e mezza, ho visto Andrea e Ga’ che si guardavano. Quando sono tornata a casa ho mandato un messaggio ad una mia amica e ho scritto: penso che abbiano bisogno di toccarsi, di abbracciarsi.

Ho visto tre amiche, una per volta, aiutare Ga’ nella grotta bianca. Con grandi cappelli di carta di giornale. L’ho trovato divertente ogni giorno che è capitato. I grandi cappelli di carta di giornale. Nei momenti della mia giornata di lavoro, pensavo alla grotta bianca. “Chissà come sarà quando tornerò dentro la Factory”.

Chissà come sarà.

Vorrei parlarvi di RAPSODIA:STAMINA solo che non ci riesco, ho capito che non ve lo posso spiegare. Era necessario viverlo e per ogni spettatore è stato diverso.

Ho visto le persone piangere e ridere, senza apparente motivo. Ho visto sorrisi di cera e ne ho avuto addosso uno anche io, ma la cera si scioglie, il cuore batte, il sangue scorre.

Ho visto me stessa piangere e ridere, senza apparente motivo.

C’è stata tanta pace, tanto silenzio, tanta energia.

C’è stata la vita.

C’è stata la poesia.

C’è stata l’arte.

Come si può tentare di descrivere tutto questo a parole?

C’è stata la forza di volontà dell’artista.

Ilenia Cugis

Doppia erre, doppie tette (di Ilenia Cugis)

L'immagine può contenere: una o più persone e scarpeLavori con FERRAI? Tratto da una, due, tre, storie vere

Ora. Io non so se il problema nasca dalla parlata Cagliaritana DOC per cui il raddoppio della R è una naturale e incontrollabile conseguenza dell’area geografica in cui viviamo, ma perché “Ferai” è così difficile da pronunciare?

È che poi mi prende anche male dover dire: “ehm, sì, per Ferai.”

E mi rispondono: “sì sì, Ferrai.”

E io: “Ferai.”

E loro: “Ferrai.”

Così, in un loop infinito.

 

La cosa poi mica finisce qui.

“E con Ferrai cosa state preparando? Siete nudi?

Oh, una non può recitare a tette di fuori una volta che poi lo farà in eterno? Forse l’1% degli spettacoli di Ferai ha avuto un tantino di nudità, eppure non si esce dal tunnel di quando, quasi 10 anni fa (DIECI!) il titolo di uno spettacolo revitava “Snuff – Pornografia allo stato impuro!” (qui alcune foto).

Come se tutto il nudo fosse pornografia.

Come se mettessimo in scena i nostri corpi, puliti, vulnerabili, in un atto di esibizionismo e non con un significato artistico profondo.

Come se la pelle fosse superficie e quindi anche superficialità.

La cosa divertente, poi, è che chi fa queste domande mica le fa perché ha mai visto uno spettacolo di Ferai in cui c’era del nudo. Ovviamente no. Ovviamente è tutto per sentito dire. Sentito dire da altri che non hanno visto nulla. In un parlare, parlare, parlare, continuo, privo di basi e contenuti.

Perché chi invece ha visto e vissuto questi spettacoli, ha capito la necessità del corpo di mostrarsi senza maschera, senza finzioni, puro in sé stesso. Perché chi ha visto e vissuto questi spettacoli ha capito dove c’era fragilità e dove invece c’era condanna, dove c’era provocazione e dove c’era dolcezza.

“E quindi lavori con Ferrai?”

“Eh, sì.”

“Ah! State preparando qualcosa?”

“Uno spettacolo molto bello, si chiama ¡FeRAiExTr4vaGanzA!

“Ma… siete nudi?”

“Sì. Faccio vedere le tette. Così, senza motivo. Curioso, eh?”

Ilenia Cugis

Codice/Ferai Delbono: Onironauti, lucidi sognatori

Foto di Sabina Murru

Se si sogna da soli, è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia.

Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo: alcune ci riportano indietro e si chiamano ricordi; altre ci portano avanti e si chiamano sogni. Essi sono risposte a domande che non abbiamo ancora capito come formulare. La scorsa estate Ignazio ci ha lasciati ed è stato automatico drammatizzare l’avvenimento, cristallizzarlo in uno spettacolo (ne abbiamo parlato qui) ma non volevamo focalizzarci su questo: avevamo voglia e bisogno di evadere dalla realtà, svagarci e fantasticare come nei sogni, ma guidandoli, decidendo che i nostri sogni sarebbero stati scelti da noi.

In scena tra gli altri c’è Silvia che in un esercizio di improvvisazione ha detto:

Sono contenta perché nei miei sogni posso fare tutto: anche far resuscitare Ignazio usando la bacchetta di una fata”

Abbiamo quindi capito che tutte le cose che abbiamo amato, chiedono aiuto nei nostri sogni. Abbiamo realizzato che avremmo dovuto comunque ripartire dalla morte di Ignazio per poter andare avanti, tutti insieme.

Ci sono immagini che non sono fatte per la luce: certi sogni lo sanno.

Abbiamo costruito ogni scena sulla pelle degli interpreti cercando di farli guida del messaggio: Ferai Teatro e Codice Segreto presentano “Onironauti, lucidi sognatori” scritto e diretto da Ga&Andrea Ibba Monni per Codice/Ferai, in scena alla Silvery Fox Factory sabato 22 giugno 2019.

Fai bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più.

 

Codice/Ferai Platel: La battaglia delle bestie ferite

Foto di Sabina Murru

Passavi le tue giornate senza parlare e ci hai lasciati senza parole.

Quando una creatura viene strappata via da questa vita, noi non possiamo fare altro che prenderne atto e andare avanti sperando di essere in grado di convertire il dolore in Arte: è un nostro diritto, è il nostro dovere, è la nostra salvezza.

Caro Ignazio, abbiamo provato a cercare quel “Codice Segreto” in sala prove e poi sul palcoscenico, sei stato generoso e ti ricorderemo sempre, per sempre.

L’estate scorsa sei andato via all’improvviso e subito ci è parso necessario lavorare con coraggio a un laboratorio che entrasse dentro le corsie e le camere d’ospedale: è nato spontaneo e urgente “La battaglia delle bestie ferite” che abbiamo costruito insieme ai partecipanti al laboratorio di teatro integrato “Codice/Ferai Platel” e che andrà in scena in doppia replica domenica 23 giugno alle 18 e alle 20 presso la Silvery Fox Factory.

Non è la storia di un ospedale bensì le storie di chi lo abita.

Ecco uno stralcio del copione che racconta al meglio il progetto:

Voglio sentirmi libero di parlare di cose tristi. Non c’è niente di male, anche se tutti continuano a dire che bisogna stare su e pensare positivo, anche se tutti abbiamo assimilato il concetto che qualunque cosa succeda la vita va avanti. Voglio potermi lamentare del fatto che esistono troppe indicazioni per cercare di vivere bene, ma nessuna per stare male nel modo che più mi piace.

Ogni tanto vorrei che anche altre persone insieme a me s’innamorassero di un silenzio a tempo indeterminato.

Vorrei poter dire, lo dirò adesso, che non mi manchi, ma che avrei tanto voluto mancarti. Vorrei e ti dico, che non devi preoccuparti, che il tuo ricordo vive in chi ne ha bisogno e va bene così. In questi mesi ti ho tenuto a dormire sul cuore come lo spiritello di un film o di un cartone animato.

Oggi apro la finestra dentro il mio cervello, le porte scorrevoli dell’ospedale e quelle della tua messa, apro ogni porta di casa, tutte le finestre e le vie di fuga.

Non voglio pensare che rimani perché non te ne potevi andare.

Cosa vedrete#4: “Niente e così sia” (di Andrea Ibba Monni)

L'immagine può contenere: una o più persone e persone sul palco

Da tanti anni Ferai Teatro porta in scena spettacoli contro le discriminazioni di ogni tipo, ma la lotta contro le discriminazioni di genere e a favore dei diritti LGBT è da sempre una nostra priorità: “I monologhi della vagina”, “I monologhi del pene” e poi “PorNO gay”, “Basta che succeda!” e “Le avventure di Finocchio” tra i tanti spettacoli. Poi, due anni fa qualcosa cambia: “Se il sole muore”, segna un punto di svolta, un evento che colpisce al cuore pubblico e interpreti e che l’anno scorso ci porta a mettere in scena un prequel ideale: il controverso e discusso “Quel giorno sulla luna”, uno spettacolo divisivo che ci ha lasciato ancora qualcosa da dire. [continua dopo la foto]

L'immagine può contenere: 1 persona, persona seduta

Stavolta ho chiesto a Ga’ di mettere mano ai copioni e di scrivere la drammaturgia di “Niente e così sia”, chiusura di una trilogia di spettacoli che andrà in scena a Cagliari il 28 giugno 2019, a 50 anni esatti dai Moti di Stonewall all’interno della rassegna “Ferai/Pride”*. Alla classe Odeon il compito di portare in scena qualcosa di tanto importante per Ferai Teatro. Ho chiesto a Ga’ di scrivermi che cosa sarà “Niente e così sia” e riporto fedelmente le sue parole:

Odio, paura, vergogna, questi sono i vizi capitali del mondo che è rinato, peccati mai contemplati da chi addita la lussuria, la pigrizia, l’ira. Avevo paura di quella parata, perché in realtà desideravo tantissimo poterne far parte. Così oggi marcerò per quella parte di me che aveva troppa paura e per quelli che non possono farlo, per le persone che vivono come anche io ho vissuto. Oggi marcerò per ricordare che non sono un io e basta, ma che sono anche un “noi”. Tutto è così logico e sensato nell’amore, che improvvisamente, le differenze create dal peso dei tempi, sono niente, e noi stiamo parlando del niente, di nessuna guerra, niente e così sia.

[Andrea Ibba Monni]

*nella stessa rassegna ci saranno: “Le sciroccate”, “Dionysius”, “Libera nos a malo”  e “Passioni a Villanova 2”

Queer as f*ck! – ben oltre un semplice laboratorio

“Ferai Teatro fa un altro laboratorio teatrale gratuito riservato agli under30”

ma in realtà non è solo questo.

Queer as f*ck! è l’occasione per trattare tematiche di sessualità in maniera davvero libera grazie al teatro; Queer as f*ck! è anche e soprattutto un’occasione: quella di celebrare la vita raccontando molte vite diverse e ricordando che la diversità è ricchezza, non povertà; Queer as f*ck! è un percorso che fa bene all’anima e al corpo perché l’arte fa bene alla salute sempre e in ogni circostanza; Queer as f*ck! è un percorso che porterà alla luce del sole storie vere che hanno cambiato il mondo; Queer as f*ck! è l’occasione per prendere coscienza che la natura umana e animale non è una strada a senso unico bensì molte strade, alcune si incrociano mentre altre saranno sempre parallele; Queer as f*ck! è la possibilità di far conoscere la magia dell’arte; Queer as f*ck! è la serenità di ritrovarsi per un fine più grande, quello di fare un teatro politico nella misura in cui la politica è bellezza collettiva; Queer as f*ck! è spirito di squadra, fratellanza, sorellanza, amore e rispetto.

Dal 4 maggio al 22 giugno, tutti i sabati dalle 15 alle 17 alla Silvery Fox Factory in via Dolcetta 12, costruiremo un percorso di consapevolezza sociale attraverso l’arte teatrale: si andrà in scena venerdì 28 giugno in occasione dello spettacolo “Niente e così sia” che è in prova da inizio marzo con la classe Odeon della scuola di Ferai Teatro all’interno della rassegna “Ferai/Pride”* (clicca qui) per celebrare i 50 anni dai Moti di Stonewall.

INFO E ISCRIZIONI: [email protected]

 

 

Il vero successo (di Andrea Ibba Monni)

Da 11 anni a questa parte abbiamo tagliato tanti traguardi ma i più belli sono quelli che conseguono le persone che hanno iniziato a fare teatro da noi: perché quando la scuola diventa passione e la passione diventa lavoro allora il nostro obbiettivo è stato raggiunto.

L’elenco è lungo, speriamo sia ancora lungo ma non perché il nostro ego ne tragga giovamento, ma perché significa che i sacrifici e l’ideale sono stati sposati anche da altri: ci siamo messi a correre da soli, in salita e adesso siamo sempre di più.

Da sempre io e Ga’ avevamo un sogno: creare una nostra realtà, un nostro teatro ma non perché gli altri non andassero bene, semplicemente perché noi non andavamo bene per loro, quindi ci siamo messi l’anima in pace e abbiamo costruito attorno a noi.
Adesso abbiamo uno spazio nostro (questo), l’abbiamo chiamato “factory” perché vogliamo sia una fabbrica di idee e talenti che artigianalmente e con dedizione, abnegazione e duro lavoro producono bellezza.

In questi anni abbiamo messo in scena svariate produzioni di successo, una scuola di recitazione che cresce di qualità e quantità anno dopo anno, collaborazioni preziose con altre associazioni meravigliose. 
Abbiamo ancora tanti progetti, tanti sogni: cerchiamo di presentarveli al più presto.

Ci stiamo riuscendo, piano piano, sbagliando sempre perché osiamo sempre: e non siamo più soli.

Ferai Open Call: ecco chi sono i nuovi interpreti

open call ferai

Può una compagnia teatrale senza finanziamenti pubblici decidere di scritturare (e quindi retribuire) interpreti per ben tre nuove produzioni? Sì, Ferai Teatro può. Perché quando ci sono la dedizione e il coraggio, si può fare tutto.

Abbiamo selezionato tramite curricula e foto una quarantina di persone su oltre cento candidati e domenica 13 dicembre ci sono state otto ore di audizioni al Ferai Teatro Off, in via Eroi d’Italia 44 a Cagliari. Ecco gli esiti:

TEATRO CONTEMPORANEO:

  • Giorgia Barracu
  • Fabio carta Cois
  • Giulia Maoddi
  • Francesco Piano

TEATRO DANZA:

  • Emilia Agnesa
  • Leonarda Catta
  • Sara Perra

TEATRO IN LINGUA SARDA:

  • Massimo Melis
  • nessuna donna ha passato l’audizione. Due attrici sono state contattate dalla produzione e hanno accettato di far parte del cast: sono Alessandra Leo e Manuela Ragusa.

Le nuove tre produzioni, con la regia di Ga&Andrea Ibba Monni prendono subito il via e debutteranno nell’autunno 2016 a Cagliari in una rassegna di cinque spettacoli insieme alla nuova edizione de “I Monologhi del Pene” e alla nuovissima messa in scena de “I Monologhi della Vagina”.

Le dieci cose da non dire al danzatore stereotipato (o alla maestra e agli assistenti stereotipati)

Ecco a te, dieci regole per la serena convivenza col “danzatore stereotipato” un non del tutto raro esemplare che si aggira per le classi di danza, i salotti mondani e perfino i social network. Regole che sono da prendersi del tutto in leggerezza, senza alcun impegno e con una sana dose di ironia, qualsiasi caso di dirompente-fuoco-sacro-dei-presunti-valori-dell’arte potrebbe rendere nociva la lettura di quel che segue.

E quindi, MAI dire:

1 Ti ho visto/a in quello spettacolo sei stato/a bravissimo/a

Seguirà una sequela di finti imbarazzi misti a impulsi melodrammatici nonché un’accurata descrizione del percorso fatto, delle ostilità incontrate con l’insegnante, delle rivalità con i colleghi di palco e poi dimmi te, il tecnico con quella luce li mi ha proprio accecato, ma mi hanno detto che bisognava guardare in avanti e boh è andata così

2 Vuoi una patatina fritta?

Prima ancora che il danzatore stereotipato apra la bocca, le nubi di contorno al suo volto si tingeranno di un rosso flamenco particolarmente minaccioso, seguirà la spiegazione per cui i danzatori devono avere un peso sotto la media, se normalmente pesi 70 kg per 1,80 m d’altezza, da danzatore devi pesare 10, essere alto 70, essere largo 70, se ne deduce che il danzatore: è un quadrato.

3 Ho notato che non stendi bene le punte

(E qualsiasi altra osservazione di carattere tecnico-fisico-attitudinale).

“Ah, non stendo le punte? E tu sei troppo grassa per danzare”

“Ma io non faccio danza”

“E sei grassa uguale: sei grassa… per vivere”

“Ah…”

“E piena di nei che puzzano”

“!?”

4 Adoro Pina Bausch

La reazione che ci viene incontro potrebbe essere qualcosa del tipo “Si vede che sei uno sprovveduto, sciocchino, certo è una grande maestra, ma ormai è superata tutte ‘ste braccia e ‘ste schiene, sempre la solita minestra, diciamo che il teatro-danza è adatto a chi ormai c’ha una certa età e non può più permettersi la sola unica e vera danza: la danza classica! Il teatro-danza è per chi non ha tecnica lo sanno tutti su!”

5 Non amo Pina Bausch

“Come osi!? la grande maestra è inavvicinabile, impareggiabile, tanto che pure io che vivo di danza non oso minimamente nominarla!”

6 Sei un danzatore? Bello, con chi hai lavorato di recente?

Tasto dolentissimo, su cento detti-ballerini, solo uno lo fa di professione (è pagato per farlo, ha fatto la sua gavetta, ha una pianificazione di carriera etc.) gli altri hanno dai dodici ai cento anni e hanno fatto sempre e solo saggi, esiti scenici o pur avendo la stoffa del danzatore preferiscono indugiare in “ti dirò, la mia passione sono i cani, sto lavorando in un call-center per poter aprire una pensione per cani, ma nel mentre studio anche un po’ giurisprudenza che ho sentito dire, assicura qualche entrata mensile in più, così, per fare il giudice part-time se tra un anno non sono ancora riuscito a entrare alla Scala di Milano”. Molti altri ancora sono detti-danzatori, ma nessuno li ha mai visti su un palco se non per prendere i fiori dalle mani dei propri allievi alla fine dell’esito scenico, perché si, loro insegnano, hanno otto diplomi ottenuti tra le palestre della lega pokemon di Johto e di Hoenn, perfino la medaglia piuma di forestopoli, ma se gli controlli l’inps ti sembra di essere Carla Fracci a confronto.

7 Chiedere il perché di un costume

(o di un oggetto di scena)

In un altissima percentuale di casi la risposta è “perché è bello”

In una media percentuale di casi la risposta è “perché me l’ha detto la maestra”

In una bassissima percentuale di casi la risposta è una consapevole presa di coscienza di ciò che il costume/oggetto/scenografia può apportare al proprio spettacolo a livello di estetica, narrazione, significato, utilità e funzionalità.

8 Danzi, quindi fai anche Zumba e Latino Americano giusto?

Nessuno è mai sopravvissuto per poter raccontare cosa potrebbe succedere a seguito di questa domanda! Sarebbe anche opportuno documentarsi sulla non troppo sottile differenza che si staglia tra ballo e danza.

9 Esibirti in Danza o in Teatro-Danza o in qualsiasi cosa che contenga la parola danza

Perché chiunque non fa le cose come chiunque, o meglio il danzatore stereotipato è l’unico detentore delle basi tecniche e delle conoscenze artistiche certe e assolute, ma nella sua infinita magnanimità il danzatore stereotipato ti permetterà di definirti “performer” unico termine in grado di giustificare la tua sconfinata lacuna sul mondo della danza (sostanzialmente perché non sanno cosa significa e quindi possono schiaffare sotto il nome di performer un po’ di tutto) che, potrebbe sembrare essere un’arte comunicativa alla portata di tutti, ma… guai eh, no no, non lo è!

10 Far notare che la danza non è per tutti o alla portata di tutti

“Scherzi!? hai idea che il 70% della comunicazione è non-verbale? ogni gesto che fai può esprimere qualcosa, praticamente stai sempre danzando! Ogni movimento può essere danza, la danza è bellissima, la danza è ovunque!”