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Fernweh – Baratto Teatrale 2021 – Ferai Teatro

Fernweh, desiderio dell’altrove è il progetto di Baratto Teatrale 2021 ideato e diretto da Ga’ per Ferai Teatro. Fernweh è una di quelle parole tedesche che non si possono tradurre come unica parola in lingua italiana, riassume la nostalgia di luoghi lontani e comprende il desiderio impellente di arrivarci fisicamente e mentalmente abbandonando le circostanze conosciute.

Quando e dove: Fernweh, desiderio dell’altrove è un’esperienza artistica che inizierà lunedì 12 luglio e terminerà a fine agosto 2021 e che si svolgerà in collaborazione con Domus de Luna presso il Teatro Dante, via Generale Cantore e successivamente in tutto il quartiere di Santa Teresa a Pirri.

A chi è rivolto: possono partecipare tutte le persone autonome e autosufficienti di tutte le età ed esperienze.

Prima fase: GATE (dal 12 al 30 luglio).

Gate” è un workshop artistico e chi chiede di partecipare verrà smistatə in uno dei seguenti quattro gruppi, ogni gruppo richiede una frequenza bisettimanale, ciò che cambia è la fascia oraria, pomeridiana o serale, secondo questo schema:

giorni: 12, 15, 19, 22, 26, 29 luglio:

  • GRUPPO 1 – SAMBHALA dalle 17:00 alle 18:45
  • GRUPPO 2 – IPERBOREA orari: dalle 19:00 alle 20:45

giorni: 13, 16, 20, 23, 27, 30 luglio:

  • GRUPPO 3 – AVALON dalle 17:00 alle 18:45
  • GRUPPO 4 – EL DORADO dalle 19:00 alle 20:45

Seconda fase: FLIGHT (agosto)

Flight” è la parte dedicata alla costruzione dello spettacolo “Fernweh” e si avrà accesso se si vorrà e se si potrà partecipare. Le date delle prove verranno concordate in seguito e a fine Agosto si andrà in scena.

Come si partecipa: la partecipazione all’intero progetto Fernweh, desiderio dell’altrove è interamente libera e gratuita a tutti i livelli: il Baratto Teatrale è uno scambio di esperienze ed emozioni.

Bisogna scrivere entro giovedì 8 luglio 2021 a [email protected] o via WhatsApp/Telegram/SMS al 3755789748 indicando:

  1. Dati anagrafici e contatti;

  2. Eventuali problemi fisici/motori che dobbiamo conoscere;

  3. A quale tra i gruppi Sambhala, Iperborea, Avalon e El Dorado puoi aderire (indicare almeno due gruppi);

  4. Perché vuoi partecipare al Baratto Teatrale 2021.

Attenzione:

È richiesta una tenuta sportiva fresca e pulita.

È obbligatoria la massima cura dell’igiene personale e il totale rispetto delle norme anti-Covid vigenti nel momento in cui si lavorerà al progetto.

Il percorso artistico:

Viaggiamo da sempre, forse non ci siamo mai fermati. Siamo forti perché accettiamo di essere fragili. Forza prima della debolezza. Il nostro non è il percorso di chi cade, ma di chi si rialza, è un viaggio, conta solo il percorso. Viaggio, prima della destinazione.

Abbiamo strappato le pagine dal libro delle danze per scriverne di nuove, ci abbiamo colorato sopra come bambini e ancora, vogliamo continuare a giocare fuori dai bordi e dai limiti.

Le domande dell’interprete sono le stesse dello spettatore.

Qual è il paese giusto per rinascere? La tua meta preferita più lontana nel tempo storico e nello spazio geografico? Qual è il tuo altrove, il tuo essere altro da ciò che sei? Come si comportano i figli della Terra, che caratteristiche hanno? Qual è il nome della tua Prigione? Come è fatto il terreno migliore su cui camminare e che forma ha la terra inesplorata dentro di noi?

Un gioco di elementi e visioni fuori norma: Fernweh, desiderio dell’altrove è aperto alle persone, ossia interpreti, passanti, professionisti, non professionisti. Pubblico e interpreti dovrebbero arrivare a essere la stessa cosa nello stesso momento o in momenti intercambiabili.

Fernweh, desiderio dell’altrove è uno spettacolo sulla norma non conforme, ha bisogno di energie e persone non uniformate ai cliché dell’attore o dell’artista, ha bisogno di un desiderio di collettività e comunità antico, antecedente al desiderio sociale, nutrito dalla forzata distanza sociale, insito nel rito primordiale e nell’infantile capacità di immaginare scenari lontani, molto, molto lontani.

Ga’: Ga’ compare nel mondo a partire dal 1986, si interessa al teatro grazie ai laboratori del suo liceo, non finirà mai di frequentarne anche esternamente, fino a debuttare come attore professionista e poi fondare Ferai Teatro nel 2007. Performer, scrittore, regista e insegnante di teatro. Ricerca un’arte scomoda, lontana dalle poltroncine di velluto, dallo stucco barocco, dal teatro della comodità. L’arte deve mettere alla prova e non deve dire tutto quello che sai, ma rappresentare tutto quello che sei.

Ferai Teatro: La compagnia nasce nel 2007 dall’incontro tra Andrea Ibba Monni e Ga’. L’unione delle loro esperienze dà vita al Baratto Teatrale, una serie di rappresentazioni teatrali gratuite che si svolgono in luoghi non convenzionali (strade, chiese, piazze, monumenti) e che prevedono uno scambio culturale tra la Compagnia e l’ambiente che le ospita. La compagnia ha una scuola di recitazione per tutte le fasce d’età che si chiama “Il mestiere dell’attore” e dal 2014 lavora per la ONLUS Codice Segreto con la quale crea le classi di laboratorio integrato per le diverse abilità. Negli anni collabora con alcune compagnie teatrali sarde e mette in scena spettacoli come “I monologhi della Vagina”, “Cuore di Tenebra”, “Io sono Bestemmia” ed “Eros Nero”.

Per maggiori approfondimenti sul Baratto Teatrale di Ferai CLICCA QUI

Per un futuro possibile (di Ga’ e Andrea Ibba Monni)

I teatri riaprono il 15 giugno!

Ma per fare cosa? Beh gli spettacoli che dovevano andare in scena in primavera e quelli nuovi che non vediamo l’ora di proporre al pubblico!

Ma chi ci andrà? Certo è che dopo due mesi e mezzo di lockdown forse la gente non muore dalla voglia di fare la fila (a un metro di distanza gli uni dagli altri!) per farsi misurare la febbre e per sedersi a vedere qualcosa (a un metro di distanza gli uni dagli altri!) con la mascherina addosso per tutto il tempo.

Che provvedimenti doveva prendere il Governo? Noi siamo teatranti, non uomini e donne di governo e per quanto la nostra arte sia politica non siamo in grado di dare suggerimenti in merito a una situazione inedita per tutti.

È difficile governare, ancor più difficile governare l’Italia, pressoché impossibile governare il Ministero per i Beni e le Attività culturali e per il Turismo in Italia. Figuriamoci in piena emergenza sanitaria!

L’attenzione da parte del Governo (qualunque Governo, da quello statale a quello cittadino passando per Regione e Provincia, passati e presenti) non è mai stata delle migliori. Il teatro è un settore che non smuove grandi numeri a livello di elettorato, quindi non è certamente una priorità politica: eppure basterebbe conoscerlo un minimo per capire che come radicalizza l’anima il palcoscenico non lo fa nessuno.

L’arte ha un potere politico enorme ma la classe dirigente è totalmente impreparata in materia.

Il nostro obbiettivo è sempre stato il pubblico: vogliamo che la gente capisca, tocchi con mano una realtà diversa da quella che immagina, vogliamo abbattere il pregiudizio di cui soffre il nostro settore; ma finché ci si comporta da buffoni a corte si avrà quel tipo di considerazione.

ll teatro post-Covid sarà ancora più bello di prima perché se c’è una cosa che l’arte sa fare è reagire con vigore a una crisi: purtroppo o per fortuna resisteremo in pochi e questo non so se sia un bene o un male.

Stiamo valutando il da farsi, per ora consapevoli che è impossibile proporre uno spettacolo il 15 giugno perché dal 7 marzo siamo chiusi in casa impossibilitati a lavorare. Pare che dal 15 giugno si debbano tenere le distanze anche sul palco, misurare la temperatura a tutti, pubblico compreso. Per quali storie vale la pena fare questo rito sacrificale? Lavoriamo a livello creativo, cerchiamo di non farci cogliere impreparati: per troppo tempo abbiamo pensato al come, adesso è ora di pensare al perché. Vogliamo (da sempre) opportunità vere: non necessariamente soldi da investire ma anche solo spazi da utilizzare e soprattutto dignità lavorativa, rispetto.

Ga’ e Andrea Ibba Monni

La mia Ferai – seconda parte (di Andrea Ibba Monni)

Sono arrivato nella Chiesa di Santa Lucia a Cagliari quando la dirigeva con piglio sicuro e sorriso bonario il leggendario Don Pietro Meneghini. Enzo Parodo mi chiamò per recitare coi suoi ragazzi nel 2001 (finalmente!) e il Presidente della Compagnia Santa Lucia, Giorgio Mulas due anni dopo mi chiedeva se volessi provare a fare un laboratorio in oratorio. Dal 2003 al 2007 furono quattro anni importanti e fondamentali: quando nel 2007 chiesi a Ga’ di unire le forze e il laboratorio divenne a tutti gli effetti della neonata Ferai Teatro avevo già fatto molta esperienza e imparato dai parecchi errori (ancora ne avrei fatto e spero di poterne fare ancora tantissimi).

L’era di Ferai Teatro nella chiesa di Santa Lucia è la scusa per parlare delle prime due arrivate nello staff di Ferai: Ilenia e Giulia.

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Ilenia Cugis nasce nel 1991, definisce il teatro “cibo che sfama le sue personalità latenti e inespresse”.

Nel 2007 è fra il pubblico del primo spettacolo di Ferai Teatro, “Air Can Hurt You”, promette a sé stessa di diventare un’attrice di Ferai: dieci anni dopo è parte della compagnia. Attrice dello staff, si occupa anche di marketing e grafica.

Desidera che il teatro torni ad essere avanguardia, arte trainante nell’innovazione e nella nascita di nuovi movimenti artistici di commistione in quanto “unica forma d’arte che in sé rappresenta contenitore e contenuto.”

Giulia Maoddi (Jules934) su PinterestGiulia Maoddi, classe 1987, ha fatto del teatro il suo linguaggio e il mezzo col quale comunicare col resto del mondo.

Ha iniziato a studiare teatro nel 2007 in un corso universitario ed è entrata a far parte della scuola Ferai nel 2010.

All’interno della compagnia oltre ad essere attrice e performer si occupa del settore organizzativo e di quello informatico per il quale cura i testi. Auspica che il teatro del futuro sia più libero, innovativo e pop: un luogo dove fare arte, un luogo fresco e attivo lontano dall’idea di qualcosa di vecchio e desueto che in troppi oggi hanno.

Con loro e Andrea Mura andrà in scena uno spettacolo divertente sulla storia dell’Italia e della televisione italiana che avrebbe dovuto debuttare ad aprile ma che è solo rimandato!

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Perché e come ho iniziato a fare teatro (di Ilenia Cugis)

2008: Air Can Hurt You

È il 2008, lo spettacolo di baratto teatrale si intitola “Air Can Hurt You”, ed è il momento esatto in cui mi innamoro del teatro.

È notte. Sono in macchina con un’amica di mia madre. Guida nel buio delle strade strette della campagna di Flumini di Quartu. La macchina si ferma sulla strada. Scendo.

C’è un grandissimo cancello di metallo, grigio. Ga’ è vestito di nero, ha un cappello in mano, dal quale fa pescare alle persone un pezzo di cartoncino. Sul mio cartoncino c’è un segno di pittura blu. Vengo separata dalle persone con cui sono arrivata e insieme a qualche estraneo attraverso un giardino e arrivo in una stanza, abbastanza grande. C’è una televisione. C’è un ragazzo (Enrico Cara n.d.r.), di spalle, con ali da angelo e la schiena scoperta. La sua ombra è proiettata sul muro.

Parte un video. Le immagini sono mischiate, sovrapposte, i temi sono tanti, frammentati, iniziano si fermano ricominciano. Il video è un sogno. Poi finisce.

Siamo condotti all’esterno. Vedo che nelle altre stanze accadono altre cose. Io sono sul porticato. Un’attrice, Andreina, ha un enorme blocco di rami secchi in mano. Sembra respingere e scacciare dei fantasmi dal suo passato.

Poi, inizia qualcosa.

Che solo più tardi, scoprirò essere la “Stanza Rossa”.

Ci sono Andrea Ibba Monni e un’attrice che non conosco, che non ho mai conosciuto. Lei è mora. Ed è molto bella (Barbara Piu n.d.r.).

Il pezzo è una lotta lenta e veloce per l’amore, è violenza e tenerezza, la Stanza Rossa è complessa, complessa come la passione, la rabbia, l’affetto, la gelosia. I loro corpi si trovano e non si trovano. Lei fugge e si rifugia, lui la cerca, la prende, la perde.

Per come lo ricordo io, alla fine vincono la violenza e la gelosia. Eppure Andrea canta, perché l’amore c’è ancora.

Inizia una musica. La sento ancora dentro le orecchie, 12 anni dopo.

Restiamo nel portico, mi pare che tutto il pubblico si sia ora ricongiunto.

La musica è forte e una luce fievole si muove da dietro la casa. Sono tre candele e un ragazzo, Giacomo (Peddis n.d.r.), le tiene davanti a sé. Arriva circa davanti al portico, lo vediamo tutti. Lo vediamo contorcersi mentre le candele illuminano e scaldano punti diversi del suo corpo nudo, magro, allenato, si muove e ad ogni movimento cambia forma, il suo corpo in eterna danza con le candele.

La cera finisce di bruciare e non c’è più musica.

Sono certa che siamo tutto il pubblico ora, insieme, veniamo condotti giù dal portico, camminiamo verso il lato destro della casa, siamo nel retro del giardino. C’è qualche albero e una luce lieve. Ed è lì, sul pavimento di terra, erba e foglie secche, sui rami caduti, in mezzo a spine e cespugli, è lì, che appare Nastas’ja Filippovna.

Con le sue maschere. Con le sue gambe. Con la sua voce. Quella voce che ve lo assicuro posso sentirla nelle orecchie. Ha anche un libro in mano. Un ombrello. Teli. Mi innamoro di Nastas’ja, piango, sono scossa, ho i brividi, è il momento esatto in cui capisco che cosa significhi il teatro per Ferai. Quando il pezzo finisce il mio cuore è assetato, forse famelico, dice: “ancora, ancora”.

L’ultima scena è La Cena.

Ci sono adesso tutti gli attori intorno ad una tavola. Mangiano ravioli. Giocano con il cibo. Con le posate. Sono pericolosi coi coltelli. Si sfidano. Non vogliono mangiare, ci sono infiniti spettri di disturbi alimentari e relazioni parentali malate.

Alla fine, un primo di loro, si accorge che manca qualcuno, o qualcosa.

“Laura (Solla n.d.r.), anche l’aria può ferirti”.

La cena si scompone e gli attori cercano disperatamente ciò che manca, per tutto il grande giardino. Noi li seguiamo. La ricerca termina al cancello. Gli attori sono tutti lì, con gli occhi verso il cielo, nella notte buia.

Infine, questo è ciò che ricorda la mia mente, gli attori sono scomparsi. Nel nulla. Siamo rimasti solo noi, spettatori, davanti al cancello grigio. Insieme a Ga’, vestito di nero, con il suo grande cappello, in testa. Che ci mandava via, a casa.

“Ancora, ancora”, ripete il mio cuore estremamente confuso e affamato. Due mesi dopo ho frequentato la mia prima lezione di teatro.

Ilenia Cugis

RAPSODIA:STAMINA – frammenti (di Ilenia Cugis)

Nel silenzio della Silvery Fox Factory c’erano rumori di passi lenti e suole di scarpe che scricchiolano.

C’erano gli occhi di Andrea Ibba Monni che guarda dritto davanti a sé, sono stampati nella mia memoria.

Insieme al rito della notte.

Mentre la luce si rifletteva sulla grotta bianca di Ga’.

Ga’, ballava; davanti a lui c’era un mio amico, che piangeva. Guardava Ga’ che ballava per lui, e piangeva.

Mi fa sorridere.

C’era un sacco di cibo all’ingresso. Finché l’abbiamo rimosso. Tante tantissime banane. Banane banane e banane. Le ho portate a casa.

Arrivavo sempre di notte alla factory, quando finivo di lavorare. La luce ovattata, mi cullava. Una notte ho sentito il suono di una sedia che veniva spostata da una ragazza del pubblico. Lei ha scritto qualcosa su un quaderno e l’ha passato ad Andrea, lui ha annuito e sorriso con gli occhi, perché aveva la bocca coperta col nastro. Molto lentamente e in maniera estremamente religiosa Andrea ha messo via i chicchi di riso. Ha preso le mani della ragazza davanti a lui. Si sono toccati.

Mi piaceva guardare i chicchi di riso.

Mi piaceva guardare le mani che si toccano.

Mi sono seduta davanti a Simone con una bacinella sulle gambe. Abbiamo lavato e strizzato e bagnato e strizzato.

Mi piaceva guardare le ragazze che lo aiutavano a cucire. Tutto, ovattato, nella notte, nel silenzio, nella calma apparente.

Una notte quando sono arrivata era quasi l’una. Era già giovedì. Erano rimasti tre performer per “Democratic Schism”. Davide, Ilaria, Francesca, così stanchi che avrei avuto voglia di abbracciarli. In movimento da quattro ore, rimasti solo in tre. I corpi sfiniti. Erano molto belli. A momenti mi incantavo a fissare una di loro tre. Poi l’altro, poi l’altra.

Andrea era in piedi.

Sentivo, non so perché, che stesse in piedi nel tentativo di dare tutta la sua energia ai tre performer e beh, dopo 4 giorni qui, dentro la Factory, uno l’energia se la sarebbe voluta centellinare, mentre Andrea la stava espandendo, voleva darla, voleva inondare lo spazio, l’aria era piena di energia calma e pacifica.

Quella stessa notte, più tardi, forse intorno alle due e mezza, ho visto Andrea e Ga’ che si guardavano. Quando sono tornata a casa ho mandato un messaggio ad una mia amica e ho scritto: penso che abbiano bisogno di toccarsi, di abbracciarsi.

Ho visto tre amiche, una per volta, aiutare Ga’ nella grotta bianca. Con grandi cappelli di carta di giornale. L’ho trovato divertente ogni giorno che è capitato. I grandi cappelli di carta di giornale. Nei momenti della mia giornata di lavoro, pensavo alla grotta bianca. “Chissà come sarà quando tornerò dentro la Factory”.

Chissà come sarà.

Vorrei parlarvi di RAPSODIA:STAMINA solo che non ci riesco, ho capito che non ve lo posso spiegare. Era necessario viverlo e per ogni spettatore è stato diverso.

Ho visto le persone piangere e ridere, senza apparente motivo. Ho visto sorrisi di cera e ne ho avuto addosso uno anche io, ma la cera si scioglie, il cuore batte, il sangue scorre.

Ho visto me stessa piangere e ridere, senza apparente motivo.

C’è stata tanta pace, tanto silenzio, tanta energia.

C’è stata la vita.

C’è stata la poesia.

C’è stata l’arte.

Come si può tentare di descrivere tutto questo a parole?

C’è stata la forza di volontà dell’artista.

Ilenia Cugis

L’odore del teatro

Appena apro gli occhi realizzo che è il 15 febbraio, mi viene da sorridere, ci siamo , mi sento bene, sono pronta. Poco dopo arriva Iris che esordisce: “Mamma oggi è il grande giorno, sono felice e non mi sento per niente agitata”.

Io e Iris abbiamo avuto la grande opportunità e il privilegio di frequentare la Classe Abadìa di Ferai Teatro insieme: un’avventura pazzesca, io e lei che nella vita di tutti i giorni abbiamo due ruoli per natura molto diversi, distanti, viviamo la vita con emozioni e problemi diversi ma che lì a teatro invece ci troviamo sullo stesso piano, a parlare degli stessi argomenti, pervase della le stesse emozioni, abbiamo lo stesso maestro, gli stessi compagni, ci rechiamo nello stesso luogo. Parità assoluta.

Il fantastico mondo dei grandi e Iris è assolutamente rapita da tutto ciò.

Le lezioni sono “fuori dagli schemi” e questo appaga la sua fantasia da bambina, per lei il teatro è un luogo dove tutto è ammesso quasi non ci fossero regole o perlomeno le “solite regole” a cui deve far fronte quotidianamente. Il suo entusiasmo cresce di volta in volta insieme al mio e il venerdì diventa l’obiettivo della settimana tanto da iniziare a contare i giorni che mancano al prossimo venerdì già subito dopo la lezione.

Per puro caso ci siamo trovate a teatro insieme, diventiamo più complici che mai frequentiamo assiduamente senza mancare neanche ad una lezione nonostante io lavori, viva e faccia teatro in tre città molto distanti tra loro, mi faccio in quattro per non mancare di venerdì a lezione perché si sta troppo bene, è un momento per noi, fuori da tutto e tutti, ci fa bene, e quando usciamo ci sentiamo cariche e pronte a tornare con più serenità alla solita routine quotidiana.

Abadìa sa di buono e ha il profumo di una torta appena sfornata, quel profumo dolce che ti rassicura e ti fa sentire a casa! Preparo gli abiti di scena e tutto il materiale che occorre, ci siamo, il Teatro Massimo mi sembra enorme, è strano entrare da performer e non da spettatore , il mio primo vero palcoscenico, non ho l’ansia , mi sento inondata da sentimenti buoni, sono serena.

Sento ancora vivo l’odore di quella giornata, le creme, i trucchi , i miei compagni , anche loro profumo, sono tutti bellissimi, felici, non so chi siano fuori da lì, non so cosa fanno nella vita: abbiamo tutti vite diverse ma siamo tutti uguali, parliamo la stessa lingua del teatro e viviamo le stesse emozioni.

I trolley, le scarpe i vestiti di scena , è tutto a fantastico , i brillantini di Francesco , il fondotinta di Ennas, l’odore del parquet del palco, sento ancora vivissimi tutti questi odori nel naso, la mano di Fabrizio sulla mia spalla, la super simpatia di Dreh, il pellicciotto di Benedetta, quanti odori e quante emozioni!!!

Mentre aiuto Iris a prepararsi mi confessa di essere agitata , ma si consola da sola consapevole che la prima volta “è normale”, la bacio con tenerezza, mi sembra grande e sono orgogliosa di lei. Sul palco Ga’ da le ultime indicazioni, mi rassicura vederlo lì, mi trasmette tranquillità, ora a distanza di 4 mesi capisco cosa prova Iris quando dice di “amare” Ga’, certo lo esprime con questa parola impropria ma io capisco benissimo che cosa le trasmette, è lui che ci aperto le porte di questo nuovo stimolante mondo, e l’ha fatto con una dolcezza infinita, ci ha accolto, ha pazientato per la nostra inesperienza e ancora ha dovuto adattare le lezioni a misura di Iris che per quanto sia una bimba matura ha pur sempre 7 anni. È riuscito a fare tutto questo con la sua spontaneità, la sua pacatezza e la sua professionalità ci hanno fatto amare ancora di più il teatro e da allora io e Iris non riusciamo più a farne a meno.

Lo spettacolo è un tripudio di emozioni, mi sento bene, appagata, son pervasa da un’aura che mi fa sentire quasi un Dio, penso che è andato tutto bene, il pubblico applaude, Ga’ ci ringrazia.

Chiuso il sipario avverto una dolce sensazione di leggerezza e quasi di malinconia, sento che un ciclo è finito e nonostante sia felicissima sento già la nostalgia di quegli odori. Ci confrontiamo con i compagni, in viso hanno una luce diversa, un sorriso più disteso, sento una forte complicità che ci unisce, quella complicità di chi ha fatto un lungo viaggio e vissuto tante avventure insieme.

Il camerino ora profumo di salviette struccanti, ma io sento ancora forte forte l’odore delle emozioni, quelle vere quelle pure, quelle che sanno di un buon sentimento, un sentimento che non so neanche raccontare perché gli odori sono solo da provare, come il teatro.

Cinzia Zuncheddu

Quarantotto piedi per Cenerentola (di Ilenia Cugis)

Risultato immagini per cinderela funnySono passate 12 ore da quando “Cenerentola chi?” è andato in scena, e sento ancora l’adrenalina.
Quando fai uno spettacolo bello, è sempre così, sul palco dai tutte le tue energie, tutte le tue forze, quindi dopo è solo l’adrenalina a tenerti in piedi: a farti ridere, scherzare, dire “lo rifarei anche subito!”, quando invece è probabile che poi dormirai 10 ore e mezza di fila.

La Fenice è una classe bellissima. Sarà l’orario, sapete, dalle 21 alle 22.30, arrivano solo persone estremamente motivate a far teatro: gli indecisi a quell’ora cenano (giustamente).
Eppure si è creato un gruppo estremamente eterogeneo tra allievi alla loro primissima esperienza e “”veterani”” della scena, tra timidi ed estroversi, tra creativi e precisini, un bilanciamento perfetto dei nostri punti di forza e delle nostre debolezze, che ci ha permesso di portare un scena uno spettacolo a tutti gli effetti.

A teatro l’emozione si intromette sempre, lo sappiamo, la sala prove e il palcoscenico hanno luci, dimensioni, durezze diverse, lo sappiamo. Cambiano un po’ gli spazi, i rumori che fa il pavimento sotto di noi. Cambiano tante cose e a volte si può sbagliare una posizione, si può dire una battuta dando le spalle, ci si può schiacciare (noi d’altronde eravamo in 24), ma la concentrazione di ognuno di noi ha sopperito a tutto e abbiamo davvero completato alla grande un percorso bello, bello, bello.

Certo, non è mica tutto merito nostro, ma soprattutto dei maestri che riescono a star dietro a ventiquattro persone diverse, diversissime, dando ad ognuno il suggerimento giusto, dando ad ognuno tutto il tempo, creando scene fisiche, pantomime corali, che mica è facile mettere insieme coordinando ventiquattro teste e soprattutto quarantotto piedi! (Si è capito che eravamo in 24?)

Grazie, quindi, a tutti i Fenici per aver lavorato così intensamente, ad Andrea e Ga’, a Ferai Teatro tutta, ma anche ad ogni singolo spettatore che si è divertito con noi: Grazie!

Andrea Ibba Monni: una fame insaziabile.

(Leggi qui la prima parte)

Senti, siamo nella merda: Luca non può fare lo spettacolo e io non posso cancellarlo perché è tra 10 giorni”

Mentre parlava, guardavo Enzo Parodo con aria annoiata: una piccola parte di me sapeva che stava per chiedermelo, ma non osavo sperarci troppo. Sentivo già le solite lacrime di rabbia in canna, il regista a cui facevo l’assistente da circa quattro anni mi avrebbe sicuramente chiesto di trovargli qualcuno adatto o di aiutarlo con prove extra. E invece aggiunse:

Non preoccuparti se non andrà bene, anche se farai una figuraccia si tratta soltanto di una sostituzione per questa replica scolastica di “Il Sogno di Pinocchio” poi tornerà Luca.”

Non riuscivo a credere che finalmente avrei recitato: a dieci anni dal mio ingresso dietro le quinte di una produzione professionale come spettatore privilegiato, a quattro anni dall’inizio della mia gavetta come assistente alla regia, finalmente avrei potuto saziare una fame enorme che mi stava lacerando: avrei recitato anche io.

Questa fame non mi ha mai abbandonato: sarà che ho dovuto aspettare a lungo ma ogni giorno della mia vita ricordo a me stesso che quel che voglio fare è sempre e solo teatro. Ecco perché non riesco a contemplare altro, neppure impegnandomi riesco a focalizzarmi su qualcosa che non sia recitare, dirigere, produrre, creare teatro e dal più piccolo progetto alla grande produzione quel che ho sempre ben presente è che devo sputare sudore e sangue (spesso letteralmente).

Senza punto smuovermi l’acciuffo pulitamente per il naso” è stata la mia prima battuta sul palcoscenico come professionista nei panni del Carabiniere che acchiappa Pinocchio in fuga da Geppetto. Il lavoro prevedeva inoltre che mi calassi nei panni di Mangiafoco e fu un successo personale enorme, con un’emicrania fortissima e un sorrido beota stampato in faccia, desideravo raccontare a tutti che stavo rientrando dal mio debutto come attore.

Finalmente lavoravo nella Compagnia Teatro Santa Lucia di Cagliari che Enzo Parodo ha fondato nel 1996 con vari miei coetanei che fino a poco tempo prima avevo invidiato tantissimo e ai quali ora avrei dimostrato quanto valevo.

Se l’accoglienza del pubblico fu calorosa (a parte un bimbo che scappò in lacrime quando io proruppi in scena a urlare “Silenzio! Perché sei venuto a metter lo scompiglio nel mio teatro?” con imbottiture, maschera, parruccona e barbona nero pece), il cast mi trattò con diffidenza e molta freddezza. Il mio rinomato caratteraccio dell’epoca fece il resto e vissi i primi anni di lavoro di squadra come un io-contro-tutti: peccato, ci avrei messo anni prima di capire che se un mio collega non è mio amico, non per forza è mio nemico. Ma del rapporto tra la mia personalità e il teatro parlerò un’altra volta, non la prossima, che sarà invece dedicata a tutte le compagnie con cui ho lavorato prima di fondare Ferai Teatro nel 2010.

(continua…)

Codice/Ferai Delbono: Onironauti, lucidi sognatori

Foto di Sabina Murru

Se si sogna da soli, è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia.

Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo: alcune ci riportano indietro e si chiamano ricordi; altre ci portano avanti e si chiamano sogni. Essi sono risposte a domande che non abbiamo ancora capito come formulare. La scorsa estate Ignazio ci ha lasciati ed è stato automatico drammatizzare l’avvenimento, cristallizzarlo in uno spettacolo (ne abbiamo parlato qui) ma non volevamo focalizzarci su questo: avevamo voglia e bisogno di evadere dalla realtà, svagarci e fantasticare come nei sogni, ma guidandoli, decidendo che i nostri sogni sarebbero stati scelti da noi.

In scena tra gli altri c’è Silvia che in un esercizio di improvvisazione ha detto:

Sono contenta perché nei miei sogni posso fare tutto: anche far resuscitare Ignazio usando la bacchetta di una fata”

Abbiamo quindi capito che tutte le cose che abbiamo amato, chiedono aiuto nei nostri sogni. Abbiamo realizzato che avremmo dovuto comunque ripartire dalla morte di Ignazio per poter andare avanti, tutti insieme.

Ci sono immagini che non sono fatte per la luce: certi sogni lo sanno.

Abbiamo costruito ogni scena sulla pelle degli interpreti cercando di farli guida del messaggio: Ferai Teatro e Codice Segreto presentano “Onironauti, lucidi sognatori” scritto e diretto da Ga&Andrea Ibba Monni per Codice/Ferai, in scena alla Silvery Fox Factory sabato 22 giugno 2019.

Fai bei sogni. Anzi, fateli insieme. Insieme valgono di più.

 

Codice/Ferai Platel: La battaglia delle bestie ferite

Foto di Sabina Murru

Passavi le tue giornate senza parlare e ci hai lasciati senza parole.

Quando una creatura viene strappata via da questa vita, noi non possiamo fare altro che prenderne atto e andare avanti sperando di essere in grado di convertire il dolore in Arte: è un nostro diritto, è il nostro dovere, è la nostra salvezza.

Caro Ignazio, abbiamo provato a cercare quel “Codice Segreto” in sala prove e poi sul palcoscenico, sei stato generoso e ti ricorderemo sempre, per sempre.

L’estate scorsa sei andato via all’improvviso e subito ci è parso necessario lavorare con coraggio a un laboratorio che entrasse dentro le corsie e le camere d’ospedale: è nato spontaneo e urgente “La battaglia delle bestie ferite” che abbiamo costruito insieme ai partecipanti al laboratorio di teatro integrato “Codice/Ferai Platel” e che andrà in scena in doppia replica domenica 23 giugno alle 18 e alle 20 presso la Silvery Fox Factory.

Non è la storia di un ospedale bensì le storie di chi lo abita.

Ecco uno stralcio del copione che racconta al meglio il progetto:

Voglio sentirmi libero di parlare di cose tristi. Non c’è niente di male, anche se tutti continuano a dire che bisogna stare su e pensare positivo, anche se tutti abbiamo assimilato il concetto che qualunque cosa succeda la vita va avanti. Voglio potermi lamentare del fatto che esistono troppe indicazioni per cercare di vivere bene, ma nessuna per stare male nel modo che più mi piace.

Ogni tanto vorrei che anche altre persone insieme a me s’innamorassero di un silenzio a tempo indeterminato.

Vorrei poter dire, lo dirò adesso, che non mi manchi, ma che avrei tanto voluto mancarti. Vorrei e ti dico, che non devi preoccuparti, che il tuo ricordo vive in chi ne ha bisogno e va bene così. In questi mesi ti ho tenuto a dormire sul cuore come lo spiritello di un film o di un cartone animato.

Oggi apro la finestra dentro il mio cervello, le porte scorrevoli dell’ospedale e quelle della tua messa, apro ogni porta di casa, tutte le finestre e le vie di fuga.

Non voglio pensare che rimani perché non te ne potevi andare.